20.05.2023, I sacerdoti stavano bene

   Fino ad alcuni decenni fa, la presenza di un sacerdote o di una suora in famiglia era sinonimo di benessere per tutti i membri. Oggi il nostro parroco dona le offerte a lui destinate (ufar e contributo per la benedizione delle case) alle singole chiese di riferimento, ma un tempo non era così, perché non esisteva l’Ufficio del Sostentamento del clero e il sacerdote doveva mantenersi con quei proventi, proporzionati alla grandezza della parrocchia e al numero di residenti. Chi non poteva pagare, era tenuto a consegnare il controvalore, e più, in derrate alimentari in un contesto dove la penuria era molto diffusa. Prosciutti (àmze), ossocolli, salami, salsicce, burro, formaggi riempivano generosamente le dispense dei nostri parroci che, come quelli che si sono avvicendati a San Pietro al Natisone, accettavano, non pretendevano. La cantina della canonica di Antro aveva il soffitto in travi carico di insaccati, ben ordinati: su una trave i prosciutti, su un’altra gli ossocolli, su due i salami e così via. C’è da dire che vari sacerdoti, come quello di Lasiz, hanno aiutato la popolazione più povera elargendo aiuti ai più bisognosi. Mentre le offerte della musnìza seguivano la contabilità ordinata della fabbriceria, quelle delle messe dei defunti erano destinate al celebrante e costituivano un’ulteriore fonte di reddito. Il relativo benessere dei sacerdoti e delle suore si estendeva così a tutti i componenti della sua famiglia e l’eredità che seguiva alla dipartita del “don” era assai ambita, costituita da somme di denaro, testi sacri e generalmente da un’assortita biblioteca.

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