Riproponiamo un articolo di Renzo O. del 17 giugno 2011. Prima parte (1 di 2).
Le lunghe serate invernali, il fogolar (ognìisce), le case annerite dal fumo, le storie raccontate attorno al fuoco. La famiglia dei Zupèel (Venuti) abitava in una vecchia casa nella parte superiore di Tiglio sopra la statale; era composta da due fratelli, una sorella e la vecchia madre Nuta (Benvenuta). I due maschi “strìzi” si chiamavano Berto e Feliz; la sorella Ida, vedova e senza figli (si era sposata a Milano dove prestava servizio come domestica), era tornata a casa dopo la morte del marito. La convivenza fra i tre non era delle migliori, litigavano continuamente, anche perché i due maschi non disdegnavano la “bùcia” ed erano spesso brilli. Ad ogni modo convivevano e collaboravano a portare avanti la loro piccola azienda agricola e il bestiame (galline, coniglie e, soprattutto il “còcio, il maiale). Vivevano con quello che producevano e con una pensione di guerra che Feliz aveva guadagnato in seguito ad una ferita causata da una pallottola che gli aveva trapassato la mandibola e che gli aveva deformato la bocca, per questo era sopranominato “Soba”, labbro. La famiglia era ospitale e spassosa e nelle fredde serate invernali, a casa loro, si radunavano molti paesani compresi i bambini; tutti raccolti intorno al fuoco si raccontavano gli ultimi accadimenti e si scambiavano esperienze del loro lavoro di contadini e allevatori. La vecchia Nuta era invece maestra nel raccontare storie agghiaccianti: di Scràtazi (folletti), strie (streghe), baladant (benendanti) e spaventosi spettri, strasìila. Stavano tutti ad ascoltarla a bocca aperta, soprattutto i bambini, col cuore che batteva all’impazzata. Storie che facevano rizzare i capelli e, per noi bambini, il dramma era quello di tornare a casa col buio dato che l’illuminazione allora non era granchè, fatta da poche lampadine di 10 – 15 candele in pochi punti luce. Fino alla piazzetta dei Bastiani si andava tutti in gruppo e poi ognuno prendeva una direzione diversa e, per affrontare il percorso, l’andatura si faceva più sostenuta, cantando e fischiando, senza mai voltarsi indietro; appena rientrati a casa si sbatteva l’uscio chiamando mamma e papà per sentirne la voce rassicurante.