La cultura contadina ha la dimensione del paese. Peccato che nel corso del tempo molti aspetti di questa grande storia dell’uomo sia andata persa. Se prendiamo in esame qualsiasi suo elemento, come ad esempio un gesto rituale che esperte eseguivano dietro casa Mattelig, all’imbocco di via Lovinza, oppure una leggenda o una credenza, ci si potrebbe accorgere dell’enorme valenza antropologica della ritualità, della mitologia e dei riti magici che un tempo hanno scandito il trascorrere del tempo. Fino agli anni ’20 del secolo scorso anche in paese la sposa rompeva la bacchetta preparata da tempo, asciutta, “croccante” e lanciava i due pezzi alle proprie spalle mentre abbandonava la casa paterna, oppure riti e usanze per stimolare l’allattamento del neonato; dicono che mettevano la camicia dell’ammalato a disposizione della strega, per farlo guarire, sul balcone immerso nel buio. Si trattava di una lunga e ininterrotta catena di passaggi bocca a bocca, scarsamente attestati e che potremmo definire “la catena dell’oralità”, tutto vissuto come profondamente e radicalmente locale. Bastava andare in un altro paese, oppure sulla sponda opposta del Natisone per sentire tutt’altre usanze. Praticamente era tutto interiorizzato per rendere vivibile e comprensibile la vita qui, a Ponteacco, nell’allora comunità stretta.