La manifestazione culinaria “Invito a pranzo” ha subìto una battuta d’arresto a causa dell’emergenza sanitaria e, poco prima, dai risultati piuttosto modesti per il caro-prezzi e per le porzioni misere, poco più di un assaggio e questo costituirà uno dei potenziali fallimenti della rassegna gastronomica che in questi anni ha fatto conoscere ad un pubblico assai vasto le caratteristiche della cucina valligiana. Ci siamo chiesti: esiste una cucina valligiana? Gli aggettivi che solitamente si usano per definire la nostra cucina sono: “semplice”, “genuina”, “povera”, “rurale”, ma se ciò oggi è simbolo di ricercatezza in una felice contrapposizione al mangiare “globalizzato” e ai gusti standardizzati, o al divismo che interessa i grandi cuochi (non ce n’è uno che non abbia scritto un libro, a cominciare dal cuocone Cavaturacciolo, sempre in tv), non fu così in passato. Nel ricostruire la storia della nostra cucina, dobbiamo tenere conto che molto è andato perduto, compresa quella tradizione orale che si è interrotta decenni fa. La cucina del nostro territorio corrispondeva ad un’esigenza fondamentale: cercare il meglio per contrapporsi alla fame, mettendo in atto gli stratagemmi utili per rendere commestibile ciò che la natura offriva, per sfruttare al meglio i prodotti del coltivare una terra non molto generosa …
18.11.2020, La raccolta del granoturco (2/2)
La lavorazione delle pannocchie nella stanza dov’erano ammucchiate era una tra le operazioni più gradite. I Serafini portavano il raccolto sul grande stanzone posto sopra la galleria d’accesso e numerose erano le persone che si prestavano alla lavorazione. Un periodo breve e gradito perché tutta la sera si cantava ed era una delle poche occasioni, anche per i giovani, per far tardi, naturalmente mai dopo le 10 (22:00). Ma il lavoro non finiva qui! Era necessario sgranare le pannocchie con il čùžnjak, un attrezzo dalla forma ovale che di infilava a metà del palmo della mano, munito a doppia fila di denti “a pescecane”. Si trattava di un lavoro di grande pazienza perché prima di riempire un sacco, ce ne voleva di tempo. Il grano, se era troppo umido, doveva essere sparpagliato su un capace contenitore a forma rettangolare con la rete sul fondo e asciugato sul fornello. Ustìn non voleva del mais troppo umido, perchè avrebbe impastato le macine. Insomma, un lavoro immane della durata di una settimana più il tempo necessario per la sgranatura. Sono bastati 15 minuti, domenica scorsa, per completare tutto il lavoro, proprio dalle 12:00 alle 12:15.
17.11.2020, La raccolta del granoturco (1/2)
L’altro ieri verso mezzogiorno è entrata in azione, nel campo tra il Centro e la cabina Enel, la spannocchiatrice, la mostruosa macchina semovente che raccoglie il grano, il sìarak. Era domenica, ma all’operatore sono bastati 15 minuti per “sistemare” il campo, per raccoglierne il prodotto. Chi ha osservato dalla finestra le operazioni meticolose e precise di questo macchinone, ha avuto l’immagine “ondulata” che ha riportato le fasi del raccolto a una cinquantina di anni fa: 1. entrava in azione una squadra di persone anche extra-familiari dove vigeva il principio dello scambio di favori; 2. si staccavano le pannocchie dallo stocco (fusto della pianta) e si inserivano nel cesto; 3. ogni 20 metri si creava un mucchio di pannocchie grazie ai cesti svuotati; 4. i mucchi si caricavano sul carro per trasferirli in una stanza di stoccaggio, dove la quantità di pannocchie raggiungeva facilmente il soffitto; 5. entrava nuovamente in azione la squadra composta da familiari e paesani che aveva il compito di separare alcune pannocchie con le brattee per fare le “kite” da appendere ai balconi delle case o alle travi dei solai e altre togliendo le brattee, lasciando il mais privo di stigmi (baffi) …
16.11.2020, Ieri in paese
“Bip-bip/biiiip/”: ecco la trascrizione audio della giornata di ieri: linea piatta. I ponteacchesi, ma in genere tutti i valligiani, sono rimasti a casa, impossibilitati ad uscire dal proprio Comune. Bar e negozi chiusi, supermercati aperti a Cividale, ma per era un autentico azzardo uscire di casa. Per andare dove? Una persona ha detto: “Portami a Vernassino che non sono mai stata!”. Detto-fatto, per quella coppia è stata l’unica uscita consentita. Certo, tanta gente è da molto che non va a Costa o ad Altovizza, ma i grandi giri domenicali si esauriscono lì. In cambio ci sono state brevi passeggiate lungo la via principale del paese e lungo il parcheggio che, fosse asfaltato e urbanizzato, costituirebbe una bella valvola di sfogo per chi vuole sgranchirsi le gambe. La settimana che si apre oggi sarà all’insegna delle restrizioni, che pare facciano effetto sul numero dei contagi in FVG. Auguriamo giorni sereni, con sacrifici, sperando in una seconda metà di dicembre se non esplosiva, almeno godibile.
15.11.2020, Tosse, influenza o Coronavirus?
Affronteremo tutto l’inverno con questo costante dubbio. Sì, perché esiste anche l’influenza stagionale che non ha nulla a che vedere con il Coronavirus. Mai come quest’anno la tosse, disturbo di stagione, fa tanta paura, al punto da far scatenare l’allarme intorno a noi. Sarà solo un po’ di irritazione? Forse sì, se sento gli odori e i sapori. Quest’inverno “influenzale” sarà un incubo. La tosse è uno dei sintomi più comuni della presenza del “SARS-CoV-2” ed è il veicolo di contagio prediletto dal virus ed è presente in quasi tutti i malati oggi in cura. Ma chi tossisce non è detto sia infettato. Gli pneumologi udinesi dicono: la tosse provocata dal Covid-19 è tipicamente secca, stizzosa, accompagna al fiato corto, un disturbo molto fastidioso, che dà la sensazione di utilizzare solo la parte superiore dei polmoni, che innesca difficoltà respiratoria con febbre compresa tra i 37.5 e 38.5. Il Coronavirus si manifesta prima con la febbre (non alta), poi tosse e dolori muscolari, quindi nausea o vomito, diarrea, seguito infine da un appiattimento generale della percezione di odori e sapori. Sono indicazioni orientative -sostengono i nostri medici. L’unico sistema per distinguere il Cornavirus dall’influenza è il tampone che può essere effettuato in vari luoghi, dalle strutture private agli ospedali. La tosse secca risponde bene alla codeina (Paracodina) che agisce sul sistema centrale. Elimina lo stimolo, ma non cura affatto l’origine dello stesso.
14.11.2020, Preziosi ricordi (3/3)
Ultima parte del contributo alle news di una paesana: “Nel passato la religione era molto sentita e raramente la gente non si atteneva a regole ed usanze. In alcune famiglie pregavano ogni sera il rosario, in altre solo all’ inizio di novembre per pregare per i defunti. La sera, dopo cena, mangiavamo castagne e gli adulti bevevano un bicchiere di vino. Da noi venivano i nonni che abitavano in paese e senza tanti preamboli la nonna tirava dalla tasca il rosario e cominciava a pregare. Lei, da bambina, aveva imparato a pregare nell’ idioma locale mentre noi bambini avevamo imparato a pregare in italiano. L’uso delle due lingue contemporaneamente ci faceva ridere e disturbavamo la nonna che si confondeva. Finiva che i nonni tornavano a casa loro per pregare in pace. La domenica mattina bisognava andare a messa a San Pietro per poter fare la comunione a stomaco vuoto, poi tornare a casa e fare colazione e poi andare a messa a Ponteacco. Per lo più tornavamo a San Pietro nel pomeriggio per i Vesperi. Talvolta potevamo andare al cinema.Non c’era bisogno di andare in palestra!”. Si ringrazia la paesana per la testimonianza.
13.11.2020, Preziosi ricordi (2/3)
Seconda parte del contributo giunto da una paesana: “Altro avvenimento importante era la messa in chiesa a San Pietro e la processione in cimitero per ricordare i nostri defunti.
Naturalmente ci si andava a piedi ed eravamo contenti di incontrare parenti che altrimenti vedevamo raramente. Il problema in tutte le famiglie era il seguente: non bisognava far brutta figura presentandosi mal vestiti e calzati, dunque bisognava usare fantasia e creatività. Ci si prestava indumenti e giacche. Chi di noi aveva una zia, sorella o conoscente che faceva la donna di servizio in qualche città italiana, era “fortunata”. Le poverette quando tornavano al paese, un paio di volte all’ anno, portavano gli abiti smessi delle loro “padrone”, dunque entravano nelle case indumenti ancora buoni e di varie taglie. Anche le scarpe erano molto ambite; poco importava se la misura era quella giusta. Leggendo che una nota casa di moda italiana vende collant strappati a 140 euro al paio, penso a quei tempi. Grande fervore per la mamme che possedevano una macchina da cucire. Altrimenti in paese, oltre alle rinomate sarte, c’erano altre signore che si arrangiavano a fare lavori meno impegnativi. Decenni fa, molte ragazze friulane, ancora adolescenti, venivano mandate a fare “le serve”, quasi tutte in città del Nord Italia ed alcune a Roma. Venivano pagate poco e sfruttate, senza diritti e solo doveri. Il poco che guadagnavano era una grande risorsa per le loro famiglie. Alcune sono tornate al paese per sposarsi e farsi una famiglia, altre sono rimaste a vivere nella città dove si erano stabilite”.
12.11.2020, Preziosi ricordi (1/3)
C’erano alcuni riti ed usanze che ci piacevano. La mattina del primo novembre ci radunavamo, muniti di un sacco e, cominciando dal quartiere delle tre case sulla via Nazionale, andavamo in corteo, di casa in casa, a pregare per i defunti della famiglia di chi ci apriva la porta e ci offriva qualcosa. Normalmente ci davano un pezzo di pane e pochi altri una monetina. Qualche porta non si apriva, ma lo sapevamo in anticipo in quanto le mamme ci avevano messo al corrente in quali case abitavano i poco generosi. Erano ben organizzati Pietro Fulla (Emaz) e la sua gentile consorte Gemma. La signora veniva da Orzano; in età matura si erano conosciuti e sposati. Arrivati davanti alla loro casa dovevamo metterci in fila, in silenzio e poi pregare con serietà e devozione. Poi, potevamo entrare uno alla volta, dire il nostro nome e stendere la mano per ricevere il tanto desiderato soldino. Anche il colonnello aveva preparato una manciata di monete da distribuire. La signora Diana ci regalava caramelle (una rarità). Dopo un’oretta il sacco era pieno e correvamo a casa contenti sapendo che la mamma ci avrebbe fatto delle buone cose da mangiare con il pane da noi racimolato. I soldini potevamo tenerli per spenderli la domenica pomeriggio quando si andava a San Pietro ai Vesperi e passavamo prima nel negozio di Gigetto dove compravamo una “tiramolla” (liquirizia) o una carruba (!) o una caramella.
11.11.2020, Una ricca vita da cani e da gatti
L’emergenza sanitaria ha aggiornato il certificato dello Stato di famiglia, regalando agli animali di compagnia un giustificato e meritato balzo in classifica e l’economia che ruota intorno ai nostri animali si prepara a mandare in soffitta un 2020 da incorniciare: le vendite di tutto ciò che riguarda i nostri amati animali sono superiori al 10% rispetto a quelle dello scorso anno. L’amore non ha prezzo e forse è proprio questa la ragione di spese a volte esagerate. Non solo in Friuli, ma in tutto il mondo cani e gatti hanno svolto un ruolo di compagnia insostituibile, premiato dai loro padroni con un trattamento da re o regina. Che sofferenza per Mabira, quando ha dovuto constatare che il suo bel gattone bianco se n’è andato, chissà dove. La compagnia di un animale domestico, fatta di coccole, fusa, carezze è stata e continua ad essere un’autentica terapia antistress. In città il cane ha fatto da “autocertificazione” per fare una passeggiata al parco, anche nel cuore delle zone rosse. Nel complesso, cani e gatti, ma anche canarini, criceti e tutto il piccolo zoo domestico restante, sono stati ricompensati dalle attenzioni dei padroni mai avute prima. In paese si vede una decina di cani a spasso ogni giorno con il loro padrone e la richiesta di animali, secondo un noto veterinario della nostra zona, è in crescita. E nelle case crescono gli acquisti di alimenti mono-dose, più “chic”, più personalizzate, fino ad arrivare a snack prima della cena, drink cremosi per i gatti, gli oramai famosi “Catisfaction”. Si è mossa insomma un’economia davvero … bestiale.
10.11.2020, La nostra generazione “Z”
I giovani d’oggi sono totalmente immersi nella tecnologia, con tutti gli svantaggi che quest’immersione comporta. La tecnologia ha influenzato (diciamo: annullato) le loro opinioni e plasmato l’atteggiamento verso marchi e istituzioni. Fa impressione che un giorno proprio questi ragazzi, molti senza né arte, né parte, né cultura saranno i padroni del mondo. I ragazzi tra i 13 e i 19 anni costituiscono una generazione molto preoccupante: sono cresciuti nella recessione globale, nel terrorismo internazionale, nella pandemia, sono impermeabili a stimoli culturali, incapaci di leggere a fondo un articolo di giornale, utilizzano un linguaggio incerto utilizzando la metà dei vocaboli dei genitori, scrivono con difficoltà un tema o, peggio, un riassunto. Così, oltre allo stereotipo dell’adolescente pigro, ci auguriamo che nasca la voglia di rimettere assieme i cocci lasciati dagli adulti e portarli ad interessarsi alle questioni economiche ed etiche, come il cambiamento climatico o altro. Riponiamo speranza che la reperibilità di informazioni da una parte e il potere dei social-media dall’altra, alimentino il loro attivismo sociale. Insomma, un grande risveglio in cui prevalgano i principi dell’inclusione e della multiculturalità. La situazione, però, è molto seria.