Discreta la partecipazione di soci ieri al Centro. Una domenica contraddistinta dalla simpatia e cordialità di Elide e Bianca alle quali va il nostro ringraziamento. Hanno offerto saporite tartine con affettati e formaggio. L’argomento principale di discussione è stata la scomparsa di Ennio Dorbolò di Tarcetta (89) avvenuta ieri notte. Malato da tempo, è stato colto da probabile collasso lasciando tutti di sorpresa poiché è stato visto anche un paio di giorni fa. Il Cavaliere ha svolto dapprima la professione di insegnante elementare, per poi diventare direttore della filiale dell’allora Banca Cattolica del Veneto di San Pietro al Natisone. Ha fatto il possibile per aiutare gli imprenditori e per consigliare gli investitori. Gli ultimi anni li ha trascorsi nel bisogno di assistenza familiare collegato alla sua anzianità. C’è stato un incessante via-vai di persone ieri a casa di Ennio, considerato che i figli e la signora Regina sono molto conosciuti e benvoluti. Il funerale si svolgerà domani pomeriggio nella chiesa parrocchiale di San Giovanni d’Antro, mentre stasera sarà recitato il Rosario alle 19:00 nel Centro polifunzionale di Tarcetta. C’è attesa tra i Consiglieri della Pro Loco per la riunione programmata giovedì prossimo. Auguriamo a lettrici e lettore una settimana buona, proficua e in salute.
04.10.2020, Ricordi scolastici di una paesana (3/4)
Arrivarono a Ponteacco tre nuove maestre che provenivano da San Pietro. In quei tempi le maestre erano molto rispettate sia dai bambini che dai genitori. Erano figure autorevoli, depositarie del “sapere “. I nostri nonni erano analfabeti o semianalfabeti. Sapevano apporre la propria firma sotto una lettera, scritta da altri sotto dettatura, o sotto un documento, pure redatto da altri. Alcuni, addirittura, per firmare usavano una croce. I nostri genitori avevano fatto le elementari ed alcuni, pochi, leggevano il giornale. Pochissimi avevano libri in casa, forse il libretto delle preghiere o il libretto del negoziante che segnava gli articoli acquistati. Dunque, l’arrivo di queste maestre cambiò molto. Parlavamo italiano a scuola e venivamo trattati con una giusta severità. Imparammo canzoni e giochi ed eravamo contenti e in silenzio assoluto, quando la maestra ci leggeva qualche pagina di un libro, ogni giorno un capitolo. Per me, il fatto che la maestra ci ascoltasse e facesse un complimento per un lavoro bene eseguito, era motivo di grande gioia. Potevamo raccontare a casa che la maestra era contenta di noi.
03.10.2020, Ricordi scolastici di una paesana (2/4)
“La prima maestra che ricordo qui a Ponteacco, alla fine degli anni Quaranta, era una vecchia maestra di Vernasso, che chiamavamo “Oca”, pur non sapendo il significato della parola. Premetto che in quegli anni tutti parlavano l’idioma delle valli ed i bambini avevano poca dimestichezza con l’italiano. La signora, anziana, grassa, vestita di nero, si muoveva per la classe con una bacchetta che ogni tanto usava sulle nostre mani e apostrofando le bambine con “oca”. Non ricordo cosa diceva ai maschietti. Un giorno qualcuno aveva sbadigliato sonoramente e lei si mise a gridare: “Chi ha sbadigliato?”. Nessuno rispose, per il solo motivo, credo, che nessuno conosceva il significato della parola. Al silenzio della classe, la signora reagì con il solito repertorio. Davanti al mio banco, in prima fila, stavano seduti due fratellini, gemelli, molto timidi. La mia compagna di banco, mi fece vedere, quello che a terra era il segno della loro paura: si vedevano due rivoli. Per fortuna, dopo alcune settimana fu sostituita da un giovane maestro che però rimase poco”.
02.10.2020, Ricordi scolastici di una paesana (1/4)
“Ricordo che nel ’48 i nostri primi giorni di scuola li abbiamo passati nel “Zalon” di Riccardo, il padre di Olinto, Antonietta, Valentina e Giorgio. Dopo poco tempo ci hanno mandato nella casa di Emaz. Si entrava dalla parte della strada, ovvero di fronte alla cappella. Mancanza di servizi igienici e gran freddo dappertutto. Tutti contenti di poter andare nella nuova scuola, dove c’ erano 3 aule, con tanti scolari , fra cui alcuni multi-ripetenti. C’erano i gabinetti, con lo sciacquone, le stufe, anche se scaldavano pochissimo e solo la maestra ne godeva il tepore se stava installata in piedi davanti alla stufa. Bisognava stare attenti a non versare l’ inchiostro e ad asciugare bene le pagine con la “carta asciugante”, o carta assorbente. Il primo giorno di scuola avevamo nella cartella (chi aveva la fortuna d’ averla): sussidiario, due quaderni e un astuccio contenente penna, pennini, matita e gomma. Qualcuno aveva una scatola di colori, da sei o -raramente- dodici. Erano drammi quando si guastava il pennino o era finito il quaderno. Erano piccoli attacchi alle scarse finanze della famiglia. Non si faceva sport e raramente uscivamo durante la ricreazione. Eravamo contenti quando avevano introdotto il pranzo che si consumava nel corridoio tutti assieme”.
01.10.2020, Il 1° ottobre
Per molti ex-studenti, il 1° ottobre, oggi, è ricordato come l’inizio dell’anno scolastico di un tempo. Si trattava di un autentico punto di partenza che imponeva allo studente un radicale cambio di abitudini. La vecchia scuola era stata oggetto di grandi lavori di pulizia, i bagni odoravano di “verochina”, il grande corridoio superiore era attrezzato per la mensa che sarebbe partita dopo pochi giorni. La maestra Giulia Zorzini appariva severa, ma in realtà era un’insegnante molto buona: i compiti del primo giorno di scuola erano costituiti dalla preparazione di una bella “uišča”, la bacchetta abbastanza lunga, fatta con la “bèka” del gelso. La più bella e maneggevole sarebbe stata trattenuta dalla maestra quale monito per una buona condotta degli allievi. Si dovevano anche preparare le stecoline fatte con i tralci più regolari della venjika (vite). Lunghe 10 cm., servivano per le prime rudimentali lezioni di matematica. La maestra Rade Podrecca Emma era una signora piuttosto bassa di statura, superata in altezza dalla magior parte dei ragazzi di quinta. È ancora considerata la regina dei pensierini. A marzo-aprile i ragazzi erano disperati, un po’ come la nostra Redazione: non sapevano più cosa scrivere. C’era poi la maestra Antonia Pussini, detta l’americana. Era ipovedente e forse anche “ipoparlante” visto che l’italiano lo conosceva a spanne, così come conosceva a spanne probabilmente l’inglese. La maestra Delfina Manzini Costaperaria era molto preparata e aveva una straordinaria capacitò di interagire con gli alunni. La maestra Annunziata Iussa di Ponteacco, allora residente a San Pietro al Natisone, è ancora ricordata come una maestra infinitamente buona e molto preparata. Per gli allievi, “sapeva tutto”. Grazie a lei, chi scrive questa notizia è stato in grado di superare l’esame di quinta con un “ottimo risultato”.
30.09.2020, La Statale 54
La statale 54 è la strada della nostra vita. È detta anche “Via Juliana”, definizione che forse non tutti conoscono. Attraversa il nostro paese e ci permette ogni tipo di collegamento. Fu istituita con la legge 1094 del 17 maggio 1928 adeguando un vecchio percorso tortuoso e costellato di guadi di torrenti anche impetuosi da Loch in su. Negli anni del fascismo e nel trentennio successivo alla II guerra mondiale l’arteria era gestita da operatori (stradini) che avevano la competenza di 10 km di gestione per ogni casa cantoniera. Uno di questi era il nostro paesano Donato (Donàt) Manzini. Durante la II Guerra mondiale Donàt svolse il suo servizio a Bretto poi diventato Log pod Mangartom. I suoi genitori, che abitavano con lui nella casa cantoniera, sono stati sepolti proprio a Bretto e probabilmente sono gli unici ponteacchesi con la tomba in Slovenia. Sono visibili le strutture delle case cantoniere nei pressi di Sanguarzo e di Pulfero, tinteggiate ancora con il tipico colore rosso-mattone. In seguito alla modifica dei confini dettata dal Trattato di Parigi (1947), il tratto centrale della statale fu assegnato alla Jugoslavia e per questo motivo oggi la statale 54 è l’unica ad essere interrotta per poi proseguire in altro Paese e rispuntare con lo stesso nome dopo alcune decine di chilometri. Il primo tronco, dopo aver attraversato Ponteacco e Tiglio, termina all’ex-valico di Stupizza con un percorso di 34,121 km e riprende in comune di Tarvisio dopo un percorso in Slovenia di 47.204 metri, al km 81+325. Il secondo tratto attraversa Tarvisio e termina all’ex-valico di Fusine. Misura 23.257 metri. In totale, la storica strada statale 54 misura 34.121 + 47.204 + 23.257 = 104.582 metri.
29.09.2020, La “scuola mobile”
La grande scuola del paese, costruita alla fine degli anni Quaranta e demolita 13 anni fa, è stata la fine delle peregrinazioni delle elementari per il paese. Dapprima le due classi hanno trovato alloggio di fronte alla casa di Savina e Silvana, poi si sono trasferite da Emaz, dove successivamente c’è stato per molti anni il bar del paese. Erano sistemate sopra il garage. E non si trattò dell’ultimo trasloco: quello avvenne nel famoso salone di Olinto, la vasta stanza al primo piano dello stabile che si può notare nella foto della settimana. L’arredamento era quantomai essenziale, due classi pluriclasse comunicanti tra loro, senza corridoio. In alto a sinistra della foto si nota ancora lo spazio occupato dalla scala d’accesso. La famosa sala di Olinto, dove sono passate aule, orchestre, feste da ballo, che ha ceduto i suoi onori in uno spazio pubblico e moderno qual è il nostro Centro.
28.09.2020, Ieri al Centro
Discreta l’affluenza di soci ieri mattina al Centro. Il turno di Graziella & Marcello ha permesso alle persone presenti di assaggiare l’orzotto preparato da una tra cuoche più raffinate del paese, Graziella, che si diverte quando ci sono le grandi quantità. Più che cuoca, esperta nella preparazione della buona cucina. Sono stati salutati Daniela e Jean-Marie le cui vacanze sono terminate. Rientreranno in Belgio domani. Quando Daniela e JM arrivano, con loro è arrivata l’estate e quando ripartono, cala il sipario sulla stagione che ci annuncia l’ingresso irreversibile dell’autunno. Tra l’altro, ieri non tutti i presenti erano all’esterno del Centro: un’arietta ha fatto resistere fuori i soli “temerari”. Ieri è stato notato il primo camino fumante. In pomeriggio è stato festeggiato il compleanno del neo-14-enne, Nico, nipote di Renzo e Bianca al quale sono andati i nostri auguri. È in arrivo una riunione del Consiglio direttivo della Pro Loco. Decideremo nei prossimi giorni quando. Auguriamo una buona settimana a lettrici, lettori, studenti …
27.09.2020, Dalla storia della nostra cucina (3/3)
La carne bovina, nei cosiddetti tagli nobili, era generalmente destinata alla vendita, mentre i tagli di seconda qualità e le parti meno nobili, quali le trippe, erano destinate al consumo popolare. Sono infiniti i modi di cottura della carne bovina e probabilmente molte ricette scritte sono andate perdute. Sulle nostre tavole non mancavano le uova, celebrate in un’infinità di modi tra frittate, sode, strapazzate, con il frico, in “funghet”, con pancetta o salame. La produzione orticola e da campo forniva buone quantità di cavoli, verze, zucche, cipolle, aglio, sedano, porro e rape per la brovada. Fino ad alcuni decenni fa ogni famigia preparava il proprio formaggio, il burro e la ricotta, a seconda della disponibilità di latte, principalmente di origine bovina. L’unico pesce disponibile oltre ai prodotti ittici di fiume, era il baccalà un tempo considerato il pesce dei poveri. Amilcare lo vendeva sia umido, già preparato per la cottura, che secco. Oggi è una costosa specialità che si consuma con la polenta, come un tempo.
26.09.2020, Dalla storia della nostra cucina (2/3)
La cucina locale, quella che possiamo assaporare durante la manifestazione gastronomica “Invito a pranzo nelle Valli”, si consolidò solo nell’Ottocento, quando a disposizione delle famiglie vi furono maggiori varietà di ingredienti, pur con il sussistere di ampie sacche di denutrizione e malattie legate alla cattiva alimentazione. La pastasciutta è arrivata solo negli anni ’60 se non con le “tajadeje”, striscioline di pasta fatta in casa cotta nelle minestre. Prima trionfavano a pranzo e a cena proprio le minestre e i minestroni, che oggi trovano sempre più seguaci considerando i limiti del piatto di pasta. Le minestre erano sempre saporite, specie con l’arrivo di patate, piselli, verze e fagioli, mentre sulle tavole arrivò anche il riso prodotto dalle parti di Pocenia, dove le risorgive potevano allagare i campi. Il brodo fu dapprima una rarità, poi si trasformò nel primo piatto tipico delle nostre domeniche, accompagnato a un pezzo di muscolo. Il maiale costituiva il maggior apporto di proteine e grassi dell'”homus valligianus”, con carni fresche nel giorno della macellazione e con insaccati nel periodo lungo di conservazione. La sempre maggiore disponibilità di sale e di spezie portò un notevole sviluppo della produzione di norcineria. Erano destinate al consumo immediato le carni bianche da cortile.