04.06.2020, Cappelli e fazzoletti da testa

   Fino agli anni ’50-’60 un paesano o una paesana non uscivano da case senza mettersi in testa il cappello, la berretta o il fazù, il fazzoletto da testa. Le immagini televisive tremolanti e in bianco e nero di quei tempi hanno ripreso immagini con uomini e donne indistintamente con il copricapo. Era un segno di rispetto e di eleganza. In ogni casa all’ingresso c’era un porta-abiti in legno, appeso alla parete dove si riponevano vari abiti, tra cui il cappello, che poteva essere da festa, da campo o stalla e da raccolto. Il fazzoletto da testa delle nostre nonne o bisnonne vanta forse una storia più lunga. Di importanza primaria rispetto allo scialle invernale, il fazù era l’elemento tradizionale del vestiario e che è stato anche l’ultimo a resistere. Il fazzoletto da testa richiamava l’antica usanza di proteggere, con un gesto istintivo, il capo per motivi pratici oltre che estetici come l’incanutimento delle ponteacchesi ancora giovani. Il fazù era indossato durante i lavori quotidiani, in casa o nei campi, per nascondere la capigliatura, per ripararsi dal sole, dal vento, dalla polvere…

03.06.2020, Ci vogliono più parole per rianimare la lingua

Un po’ di parole per rianimare la lingua

   Cerchiamo di non peccare di presunzione, ma il nostro sito fa il possibile per curare e difendere con tutti i mezzi la lingua italiana, un patrimonio di inestimabile valore. Siamo un po’ i “cultori” -perdonateci- della forma, delle espressioni il più possibili corrette, anche se siamo consapevoli che c’è ancora molto da fare. La lingua italiana si va rinsecchendo: i giovani utilizzano un vocabolario limitato e da parte loro sembra si stia perdendo il gusto di una lingua come la nostra, ricca di sfumature espressive, se le si conosce. Con la lingua italiana si può esprimere tutto, esistono termini appropriati esatti e con un’infinità di sinonimi. Basta conoscerli e utilizzarli.  Cercando su Internet, alla voce “Quante parole conoscono i giovani d’oggi?”, si può rimanere davvero sorpresi. Se nel 1976 i ragazzi ne conoscevano 6-700, oggi difficilmente ne utilizzano più di 300 e conoscono forse il significato di altre cento. E pensare che il patrimonio lessicale italiano si aggira sui 215.000-270.000 lessemi (unità di parola con significato), usarne solo 300 è un colossale e drammatico ritorno al passato, all’analfabetismo di ritorno. Si legge poco o niente, si scrive male e in forme concise, predominano parole straniere, le forme e i sentimenti sono spesso descritti con le “emoticon”. È un vero peccato, un impoverimento che va combattuto con la buona lettura, con la ricerca dei significati delle parole sconosciute, con la ricerca di sinonimi e contrari.

02.06.2020, La riunione del Consiglio direttivo di ieri

   Dopo molte settimane, il Consiglio direttivo della Pro loco si è riunito ieri sera. Sono stati affrontati numerosi argomenti  riguardanti la vita della Pro Loco. Si tratta di prossime iniziative solo delineate, poiché è necessario seguire l’evolversi delle disposizioni. Non c’è dunque una data prestabilita, ma una serie di eventi che potrebbero essere realizzati nel corso dei prossimi mesi. Tra questi spiccano due: 1. L’inaugurazione e la presentazione dei lavori al Mulino con importanti novità estetiche e funzionali, da svolgere entro la prima decade di luglio. 2. L’Assemblea generale dei Soci che potrebbe svolgersi un sabato sera di fine-luglio o inizio-agosto, all’aperto sfruttando le gradinate che garantiranno la giusta distanza tra le persone. Non si effettuerà il torneo di pallavolo e c’è un punto di domanda sulla IV d’Agosto. La serata è proseguita con un ampio dibattito in cui si è discusso di sicurezza del sentiero soprattutto all’altezza dell’intersezione con la strada statale. Sono stati stabiliti i prossimi turni. Dal punto di vista contabile sono state accertate le buone condizioni economiche della Pro Loco, nonostante i tre mesi di chiusura del Centro. Rimangono ancora numerose le tessere che attendono il rinnovo o la nuova iscrizione. A questo proposito lanciamo un appello ai soci, ai simpatizzanti: rinnovate o sottoscrivete l’adesione alla nostra Pro Loco. Si tratta di ossigeno per le nostre entrate poiché le spese di gestione sono fisse. La prossima riunione si svolgerà poco prima delle manifestazioni sopra annunciate.

01.06.2020, Ieri e oggi al Centro

   La seconda domenica di apertura dopo 3 mesi di chiusura forzata ha riportato l’ottimismo tra i soci, non molti a dire il vero, comunque sufficienti per creare una domenica vivace. Lorenzo ha portato a termine il suo turno che si è concluso poco dopo le 13:00. Molta gente lungo la ciclo-pedonale, mentre il perdurare della chiusura dell’accesso alla Slovenia sta limitando anche il traffico. Le bici superano Stupizza per poi fare il dietrofront. Stasera alle 20:30 si riunirà il Consiglio direttivo e domani illustreremo i punti salienti del dibattito. Discuteremo di apertura della nuova stagione turistica che dipenderà dallo smantellamento del cantiere  impegnato nella costruzione di un tratto di argine. Domani il Centro rimarrà chiuso e prossimamente pubblicheremo il nominativo dei prossimi turnisti. Auguriamo una buona settimana, la prima di giugno.

31.05.2020, Ciò che non ricordiamo della Grande Guerra (4/4).

   La follia assumeva varie forme: alcuni dei nostri perdevano la parola, altri erano atterriti da continue e terrificanti allucinazioni. Per i comandanti si trattava di rari episodi ascrivibili al DNA della famiglia, aspetto senza alcun riscontro. Gli scienziati definirono la malattia mentale dei nostri soldati come “regresso dell’infanzia”. I nostri militari che ne soffrivano sembravano essere tornati alla fase infantile: si esprimevano attraverso un linguaggio limitato a 100-200 parole, non sapevano mangiare da soli, si sbrodolavano, passavano la notte a piangere, a invocare la mamma, la moglie, la fidanzata. Per fortuna c’era diserzione, molti specie nel goriziano (fatto sconosciuto dalla storiografia) preferivano passare dalla parte del nemico-imposto. Intanto le Valli erano saccheggiate da militari che picchiavano gli anziani, svuotavano stalle e porcili. A guerra finita, i mutilati dovettero faticare sette camicie per aver riconosciuta una qualche indennità, mentre i malati mentali furono rinchiusi in manicomio a UD o GO, proprio dalle famiglie che non erano in grado di gestirli. Disperazione, morte, terrore, fame, insensata superficialità, piacere nel procurare sofferenze. Una Grande Guerra davvero, che ha tutti i nomi e cognomi dei responsabili.      

30.05.2020, Ciò che non ricordiamo della Grande Guerra (3/4).

I nostri valligiani erano assaliti da pensieri negativi, dal terrore, dalla nostalgia di casa, dall’incertezza, dall’angoscia e su tutti questi sentimenti c’era la fame, il freddo, la stanchezza stratificata. Nulla fu fatto dai comandi romani per alleviare le sofferenze dei nostri bis-trisnonni. Queste sensazioni iniziarono a fare i conti con il male oscuro, la follia. Lo squilibrio dilagò e colpì tutti indistintamente e indipendentemente dalla nazione di provenienza. I vari Diaz e Cadorna, ai quali oggi sono addirittura dedicate vie, caserme, piazze, scuole e bar, si distinsero per la loro lungimiranza: costruirono manicomi da campo per ricoverare i malati e rispedirli quanto prima al fronte, magari con una dose aggiuntiva di cordiale. Il falso-malato, se scoperto a simulare qualsivoglia malattia nella speranza di tornare a casa, era passato subito per le armi dopo un processo veloce, sommario e simbolico. Alcuni diari, certamente poco noti e nascosti per “amor patrio” descrivono pazienti che vagano nel buio, ombre del Purgatorio, la lingua a penzoloni da mascelle che sbavavano la brodaglia appena mangiata, scoprendo denti impressionanti.

29.05.2020, Ciò che non ricordiamo della Grande Guerra (2/4).

I militari prima di essere arruolati, erano persone semplici, senza pretese: contadini, artigiani, sarti, operai, ma bastò poco per farli rendere conto che i loro ideali si sarebbero infranti, che nulla si sarebbe risolto né gloriosamente, né velocemente. Fu una trappola perché la fine del conflitto era lontana e le condizioni di vita infernali e di questo fatto i Savoya –sciagura d’Italia-, responsabili, non pagarono affatto il loro conto. Altroché guerra-lampo, bensì guerra di logoramento, che ha coinvolto centinaia e centinaia di valligiani. Nelle trincee i nostri soldati vivevano tra i pidocchi, topi, escrementi, vicini a corpi dilaniati dei compagni falciati dalle schegge delle granate. Erano malvestiti, avevano addosso sempre gli stessi –definiamoli- abiti, spesso bagnati fradici. I piedi erano quasi incancreniti perché sempre, tutto il giorno immersi nell’acqua putrida. Dopo gli assalti, tra le rispettive trincee distanti anche poche decine di metri e separate dal filo spinato, giacevano i feriti, recuperati se ancora vivi, durante la notte.

28.05.2020, Ciò che non ricordiamo della Grande Guerra (1/4).

   La nostra non è una corsa verso il passato, ma è semplicemente una corsa verso la memoria storica con la presunzione di contribuire a fare chiarezza su aspetti forse poco conosciuti. Il primo conflitto mondiale (1914-1918) è chiamato “Grande Guerra” poiché nella storia del genere umano non c’è mai stato uno che avesse coinvolto un numero così significativo di nazioni e soldati. Per quanto riguarda l’Italia, la Grande Guerra causò 650.000 vittime, mentre a casa tornarono 500.000 mutilati, 200.000 feriti e 40.000 con gravi patologie psichiche. Questi ultimi furono bollati con un irriverente “scemi di guerra”, locuzione che si usa ancor oggi nel gergo confidenziale. La storia ha steso su questi un velo d’oblio. Ad esempio, la mamma di Angelo, la signora Maria, era ancora bambina quando un numero imprecisato di frammenti di granata le lesionarono ampie parti del corpo con gravi conseguenze per tutta la vita, per non parlare di case, stalle e porcili saccheggiati, di anziani picchiati, di ragazzine stuprate. Molti soldati aderirono alla Grande Guerra affascinati dall’idea romantica di eroismo e patria. I colli alle spalle di Gorizia erano pieni di cadaveri, morti inutilmente visto che quelle alture dopo 30 anni passarono alla Jugoslavia prima e alla Slovenia poi…

27.05.2020, Amiamo mangiare in compagnia.

Il Friuli senza convivialità è proprio come un unicorno senza il corno. Alle nostre latitudini il mangiare in compagnia è altrettanto importante che mangiare. La concentrazione di trattorie, ristoranti, osterie, enoteche, birrerie, stuzzicherie, feste gastronomiche fanno della nostra regione una successione di tavole imbandite e occasioni degustative. Lo vediamo anche noi quando organizziamo (organizzavamo) cenette: la gente era felice di stare e mangiare assieme, in compagnia. La recente crisi sanitaria ci ha “murati” in casa, sia sul piano sociale che alimentare. Abbiamo mangiato tra pochi familiari e più di qualcuno si lamenta di aver messo su chili di troppo.  Le norme che disciplinano il riavvio delle vecchie abitudini non aiutano a uscire. Ci sono poi certe incongruenze nelle normative stesse: si può uscire con parenti fino al 6° grado, ma non possiamo metterci a tavola con i nostri migliori amici: quindi il cucino mai visto in 30 anni, sì, ma il/la testimone di nozze o il santolo/santola del figlio, no. Migliaia sono gli esercizi pubblici oggi in crisi nera. Centinaia di migliaia di turisti hanno assaggiato lo scorso anno le prelibatezze della nostra cucina e bevuto almeno una bottiglia di vino pro-capite. È necessario salvare la cucina “Made in Friuli”, visto che noi non ci sediamo per mangiare, ma per mangiare insieme.  

26.05.2020, La visita di Franz Joseph a Gorizia (2/2).

La visita di Franz Joseph a Gorizia (2/2).

 Appena apparve Sua Maestà al balcone, un coro di almeno 20.000 persone urla a squarciagola «Hoch, evviva, živio» e così lungo il Corso, tra due ali di folla festante, che agitava cappelli, fazzoletti. In piazza Grande l’Imperatore entrò nella chiesa di Sant’Ignazio, baciò l’acqua santa e si fece il segno della croce dirigendosi dritto con passo sicuro verso il baldacchino dell’altare. L’articolo prosegue: “Il coro intona inni  quali il “Domine salvum fac Imperatorum nostrum Franciscum Josephum” e  il “Tantum Ergo”. Poscia sfila davanti alla formazione della Marina di Cervignano … la città è illuminata a giorno dalle lampadine elettriche, il castello ora appare di tinte rosse, poi blu”. I nostri valligiani, muniti di torce accese, furono salutati dall’Imperatore assieme agli altri gruppi. “Affacciatosi al balcone per l’ultimo saluto, l’Augusto fu acclamato da un’ovazione entusiastica, che ha commosso e trasportato tutti alla viva gioia”. Nessuno dei presenti avrebbe mai immaginato che dopo 20 anni sarebbe venuto in visita il nuovo padrone, tale Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoja, quello delle invasioni, delle leggi razziali e del fascismo, quello della fuga da Roma in pieno bombardamento. Quello corto 153 centimetri che tutti chiamavano, tra i suoi 408 odonimi, “sciaboletta”, al quale avevano forgiato una spada cortissima, poco più di una baionetta, sulla groppa di un pony.