01.05.2020, Meteorologia nostrana (2/2).

   I nostri nonni si intendevano di meteorologia. Osservavano i comportamenti degli animali, il posizionamento delle nubi, il famoso “piha ta’ na Màkot” (soffia il vento sulle Makota), foriero di nevicate certe. Insomma, gli studi, le osservazioni dell’atmosfera e dei micro o macro fenomeni ad essa connessi hanno costituito uno dei fulcri di maggior interesse e di più viva ricerca scientifica. Alla fine dell’Ottocento un inverno oltremodo rigido o un’estate particolarmente siccitosa erano sinonimo di carestia, così come una grandinata devastante, quindi la popolazione si attrezzò trasformando la meteorologia in scienza moderna, prima fisica, poi matematica. Nulla di astronomico come nel Settecento, ma di atmosferico nell’Ottocento e di spaziale nella sua attuale visione. Negli anni ’70 dell’Ottocento, con l’avvento dell’Italia nelle nostre terre, il professor Giovanni Marinelli fu il primo a creare una stazione di osservazione con la raccolta di tutti i dati che tutt’oggi sono presi in considerazione quando sentiamo parlare di “estate più calda dal 1870”, “di inverno più freddo dal 1870”. L’Imperial Regio Istituto Idrografico di Trieste telegrafava ogni giorno a Vienna i dati meteo principali. Nella capitale provenivano le restanti annotazioni di molti osservatori: era nata la meteorologia moderna che terminò con Bernacca, alla quale seguirono i modelli matematici e le osservazioni dei Meteo-sat.

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