Il nostro popolo era povero, fiscalmente tormentato con esattori odiosi, per le famiglie era un’impresa mettere vicino il pranzo con la cena, la mortalità infantile era molto alta, l’analfabetismo raggiungeva nei paesi di montagna il 95%. Qualcuno ha sentito parlare del famoso “giovedì grasso del 27 febbraio 1511”? A Udine partì la rivoluzione, con la gente del Friuli, Valli comprese, inferocita verso gli strozzini veneti. Al grido di “A sacco, a sacco, a foco, a foco, a fiamma, a fiamma” diede l’assalto ai palazzi del potere e partì la caccia ai ricchi e odiati inquilini. La violenza raggiunse punte raccapriccianti e fece decine e decine di morti. Tra i rivoluzionari c’erano anche i valligiani e tra questi (pare) anche nostri mercenari, abituati a lavori di grande fatica ed essendo spesso colossi. Si parla di un centinaio di morti. I contadini esasperati misero a ferro e fuoco decine di castelli, anche nelle Valli, rocche e palazzi. Venezia reagì inviando le proprie milizie che riuscirono a sedare la protesta l’otto marzo dello stesso anno. L’ingombrante Repubblica di Venezia aveva spento il fuoco, ma le braci rimasero accese e scaldarono per anni le faide, le vendette, i regolamenti di conti. Secondo la mentalità vigente nelle Valli, la vendetta era considerata un dovere e in alcuni casi aveva valenza di punto d’onore.