Una delle grandi gratificazioni di chi possiede un terreno vicino a casa è quella di coltivare qualche pianta da frutto, di qualsiasi genere, per avere la soddisfazione di consumare un prodotto di casa: susini, peschi, meli, fichi, peri, albicocchi. Siamo diventati grandi consumatori di frutta: le aungurie, i meloni, le pesche e l’uva della scorsa estate ne sono una testimonianza, venduta a decine di quintali. Forse non tutti sappiamo che per secoli la cultura e la medicina europea hanno sostenuto con convinzione che la frutta facesse male, al punto di poter essere mortale così come lo fu per papa Paolo II che, dopo aver mangiato tre meloni, fu colto da una diarrea senza fine, che lo portò alla morte. Si consigliava quindi di mangiarne poca seguendo la cosiddetta “teoria degli umori”, ovvero la compensazione tra alimenti freddi e umidi come la frutta fresca con altri più “caldi” come la carne o altri cibi molto salati. La teoria degli umori regge ancora in alcune diete di origine orientale. Ma quell’idea di comprensare il dolce fresco con il salato ci ha lasciato un piatto antico di secoli qui in Friuli: il prosciutto con il melone.