In passato era colui che disponeva di risorse, ma la sua condizione lo rendeva inviso da chi aveva bisogno, da chi sperava inutilmente in un suo aiuto. Fino agli anni ’50 i tempi erano duri per tutti, tranne per l’avaro, persona generalmente infelice. Non fa parte di compagnie perché fa le divisioni al centesimo o comunque sempre a proprio vantaggio, non spartisce con altri qualcosa che ha in più, si nutre di pane e acqua pur di non spendere. Essere avaro oggi? Non vuol dire niente: la globalizzazione e la libertà di circolazione dei capitali probabilmente avrà messo a disposizione dell’avaro nuovi strumenti, ma il suo istinto si deve trasformare in abilità: si parla di speculazioni e finanza virtuale dove l’avaro è una “professione” autentica. Nei prossimi anni vedremo l’avarizia alle prese con le criptovalute. Chi sbaglierà, pagherà dolorosamente la propria ingordigia di avere (e volere) sempre più.