Le donne dei nostri paesi, senza distinzione alcuna, preparavano gli strucchi lessi con il “gubančanje” (il ripieno) che avevano conservato per quest’occasione, rimasto dopo le cotture natalizie. La sera del 05, guidati dalla “fàgla-fiaccola”, gli uomini e i ragazzi del paese si recavano in chiesa a suonare le campane a distesa, un buon auspicio per la campagna ancora addormentata nel sonno invernale. Terminata la messa durante la quale si benediva l’acqua, si preparava il vin-brulé che si beveva anche mangiando il pane di santa Dorotea, per ricordare l’offerta che la chiesa riceveva per aver dato in affitto due terreni di sua proprietà. L’acqua benedetta si conservava a casa e si beveva a piccoli sorsi in caso di malattia. I numerosi contadini portavano un po’ di acqua benedetta anche nei campi e la versavano sul suolo per benedirlo. Prima di andare a letto i bambini esponevano sull’uscio la scarpa più grande affinché la Befana la riempisse di dolci e la mattina dopo tutti felici, analizzavano “il raccolto” fatto di mandarini, arachidi, noccioline, torroni, carrube. Tutti felici, non come i loro coetanei odierni che manco hanno voglia di esporre gli stivali e non dimostrano emozione neppure davanti a smartphone, videogiochi e giochi elettronici!