La veglia ai defunti era ed è una consuetudine la cui origine si perde nei tempi dei tempi. Una pratica a Ponteacco e in tutte le Valli molto sentita alla quale sottostavano parenti, amici e vicini. Diverse motivazioni imponevano la veglia, in quanto la notte era propizia ai cattivi spiriti. Era come accompagnare idealmente il viaggio dell’anima verso l’aldilà, in un cotesto di presenza-assenza. Le attuali restrizioni in atto per quanto concerne l’ultimo saluto al caro defunto, con lo scopo di prevenire la diffusione del virus, hanno e stanno ancora causando dolorose lacerazioni per le persone che non possono dare l’ultimo saluto e che hanno assistito ad una sbrigativa benedizione. Una volta il trapasso avveniva solo in casa. I familiari si estraniavano dalle quotidiane incombenze, dal lavoro specie in stalla, sostituiti da parenti o vicini. Il protagonista era la persona defunta con il contorno dei più stretti consanguinei, una specie di cointeressenza alla morte che si allargava a mo’ di cerchi sempre più allentati: dal morto alla famiglia, al vicinato, al paese. Alle persone che partecipavano alla veglia erano offerti pane, salumi, formaggio, vino e grappa (per tenersi su) con l’obbligo morale della preghiera, recitando il rosario o il “De profundis”. Si credeva che senza questo binomio, che era il mangiare e bere in veglia, le preghiere non avessero buon effetto. A Ponteacco si faceva il “cambio della guardia” a mezzanotte, rispettando il rituale del pregare, bere e mangiare. Se le case erano troppo piccole, costituite da sole due stanze, la veglia si faceva in cimitero, dove nella vecchia cappella, se notiamo, c’è ancora una stufa in mattoni per stemperare il freddo invernale, per tener calda qualche vivanda e rendere più familiare, quasi più umano, il luogo dell’ultimo addio.