Per queste sue competenze nel campo “medico”, Clorinda era molto rispettata e conosciuta fuori paese. Ogni suo intervento si svolgeva praticamente quasi in piazza, sotto gli occhi di molti curiosi che commentavano le condizioni di salute del malcapitato o della sfortunata. Aveva una bella voce, dote che donò alla figlia Irma e sicuramente anche anche alla nipote Graziana. Gli anni passavano e un giorno Clorinda si ammalò: il verdetto medico non dava speranza perché il suo sangue non reagiva più alle cure. Dopo un periodo di degenza in ospedale, Clorinda fu accompagnata a casa poiché la sua fine ormai era prossima. «Pùi dòl ki Clorinda pride damù!», così dissero a Nora, la nuora, intenta con il marito a fare la meda sul Varhàk. Il tempo di arrivare a casa che l’ambulanza era già a pochi metri dall’ingresso dell’abitazione. Era una delle prime in circolazione nelle Valli. Si formò un capannello di persone curiose che assistettero alle operazioni di consegna domiciliare della malata, mentre i bambini osservavano incuriositi l’interno di tale mezzo. La vettura si apriva solo dall’esterno, con una maniglia simile a quella dei frigoriferi di un tempo. Sulla barella giaceva la nostra paesana, dimagrita e pallidissima in volto. Gli infermieri la portarono in camera, su per le scale esterne. Dopo sette giorni, il 15 agosto millenovecento… si sentì suonare la campana piccola …