Il Natale, nei riti che ancora erano intrisi di paganesimo, era anche la festa della ripresa della luce sulle tenebre e nell’oscurità la luce è rappresentata dalla fiamma e dal fuoco. Fino a qualche decennio fa si accendeva nei caminetti alla Vigilia il ceppo più grande rinvenuto nel corso dell’anno e custodito allo scopo. L’usanza del ceppo di Natale era largamente diffusa in tutt’Europa. Carico di significati, il ceppo era in grado di ricostruire l’antica armonia rigeneratrice del principio cosmico e nella tradizione popolare costituiva il centro materiale e spirituale delle feste natalizie in quanto, oltre a riunire la famiglia per la solenne occasione, serviva anche a riscaldare il Bambino Gesù appena nato nel freddo della stalla. Oggi è difficile ricostruire quell’ambiente così magico e sacro, magari con un sacco di pellet acquistato al mulino o al Buonacquisto. Il ceppo più grosso era di faggio, o di quercia e doveva avere i requisiti di durata e rendimento calorico, in quanto doveva restare acceso o fumante per tutte le dodici notti del tempo natalizio, quindi fino all’Epifania. Lo si accendeva nel pomeriggio della vigilia di Natale, era acceso con una piccola cerimonia, una preghiera, l’intima espressione di un desiderio. Poi i ragazzi e le ragazze partivano alla volta della messa di mezzanotte ad Antro o San Pietro al Natisone, magari dopo aver mangiato una blanda cena di magro, perché la vera festa iniziava l’indomani.