06.12.2019 Il fuoco in casa, autentico privilegio (1/2).

Niente supera la sensazione di calore prodotta da un bel camino, dalla vecchia stufa in sala o dalla cucina economica. Rannicchiarsi davanti a un bel fuoco con in mano un romanzo avvincente è il desiderio di tutti noi. In paese il fuoco non è stato mai abbandonato e il riscaldamento (a metano) degli appartamenti di città è tutt’altra cosa. Un proverbio recita: “A maggio foraggio, legna e formaggio”, a dimostrazione di quanto sia stata peculiare nella nostra cultura una buona scorta di legna, il poter “buttare su” proprio quando fa freddo, quando nevica. Ritrovarsi in questi periodi con qualche secchio di legna in legnaia, appare riduttivo. Siamo circondati dai boschi e la materia prima non manca. Gli impianti di riscaldamento a legna sono semplici e assume molta importanza la pulizia della canna fumaria per evitare ostruzioni nel transito del fumo e gli “incendi” che un tempo erano anche motivo di richiamo per mezzo paese. Al motto: “Je zgorìala napa”, tutti accorrevano per vedere le sinistre lingue di fuoco che uscivano dai bocchettoni del camino, avvolto da un fumo nero dall’odore acre, che tutti abbiamo ben impresso nel nostro olfatto.

05.12.2019 Il ceppo di Natale

Il Natale, nei riti che ancora erano intrisi di paganesimo, era anche la festa della ripresa della luce sulle tenebre e nell’oscurità la luce è rappresentata dalla fiamma e dal fuoco. Fino a qualche decennio fa si accendeva nei caminetti alla Vigilia il ceppo più grande rinvenuto nel corso dell’anno e custodito allo scopo. L’usanza del ceppo di Natale era largamente diffusa in tutt’Europa. Carico di significati, il ceppo era in grado di ricostruire l’antica armonia rigeneratrice del principio cosmico e nella tradizione popolare costituiva il centro materiale e spirituale delle feste natalizie in quanto, oltre a riunire la famiglia per la solenne occasione, serviva anche a riscaldare il Bambino Gesù appena nato nel freddo della stalla. Oggi è difficile ricostruire quell’ambiente così magico e sacro, magari con un sacco di pellet acquistato al mulino o al Buonacquisto. Il ceppo più grosso era di faggio, o di quercia e doveva avere i requisiti di durata e rendimento calorico, in quanto doveva restare acceso o fumante per tutte le dodici notti del tempo natalizio, quindi fino all’Epifania. Lo si accendeva nel pomeriggio della vigilia di Natale, era acceso con una piccola cerimonia, una preghiera, l’intima espressione di un desiderio. Poi i ragazzi e le ragazze partivano alla volta della messa di mezzanotte ad Antro o San Pietro al Natisone, magari dopo aver mangiato una blanda cena di magro, perché la vera festa iniziava l’indomani.

04.12.2019 Fuoco e acqua nel solstizio d’inverno.

Tra 19 giorni il solstizio d’inverno inaugurerà la nuova stagione e sarà il giorno più corto dell’anno. Per la nostra società di un tempo, dal Natale all’Epifania si estendeva il periodo magico dell’anno, pieno di portenti e meraviglie, quasi idoneo agli scambi tra il livello umano e quello sovrumano, fra terra e cielo, tra fuoco ed acqua, elementi cosmogonici che erano celebrati nelle congiunture solstiziali dai cerimoniali liturgici, dai rituali magici e dalle pratiche popolari quasi certamente di origine celtica, collegate al giro del Sole nel firmamento. Pochissimo è stato tramandato ai giorni nostri, in questa nostra società massimalista più affascinata da ciò che avviene dall’altra sponda dell’Atlantico, che da quanto abbia fatto parte della cultura dei nostri avi. Ed è dal solstizio invernale, momento in cui il sole tocca la sua morte simbolica, per poi cominciare a risalire gradatamente l’arco del cielo, accompagnato da tutte le filastrocche e i proverbi che si trovano nei “lunari” anche oggi in edicola. Non è un caso che la nascita di Gesù sia fissata al 25 dicembre e quella di Giovanni Battista, suo precursore, il 24 giugno: il “Sole vecchio” del solstizio di giugno annuncia e precede il “Sole nuovo” del solstizio di dicembre.