07.09.2021, La salvezza dell’anima (1/3)

   Fino a qualche secolo fa, la morte, in termini religiosi, non era considerata come termine definitivo della vita, ma piuttosto come un importante momento di passaggio verso un altro regno: da uno stadio materiale della vita a un altro, meno tangibile, meno concreto. Fu un questione molto dibattuta nell’ambito del cristianesimo se paragonata alla nostra contemporaneità, dove si crede/non si crede, dove i funerali si fanno o non si fanno. Secondo i teologi del Patriarcato d’Aquileia, l’anima viveva nel corpo soltanto temporaneamente: la morte segnava la scomparsa della sua forma materiale, destinata a perire, ma nel contesto del lungo viaggio che l’anima compiva, essa non rappresentava che un singolo momento. Da qui la costante ricerca della salvezza dell’anima con opere e comportamenti terreni mirati alla sua salvaguardia, per non farle trascorre l’eternità nei fuochi dell’inferno. Infatti c’erano due “opzioni”: se il cumulo e la gravità dei peccati commessi in vita erano imperdonabili, si aprivano inesorabilmente le porte dell’inferno; se invece in virtù delle buone azioni o del martirio (la “conquista” della morte con il sacrificio), l’anima era considerata degna del Paradiso non appena lasciava il corpo …

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