(Articolo di Elvira C.)
Quando si pensa all’archeologia subacquea, l’immaginazione corre subito a immersioni nei nostri mari, alla ricerca di navi romane affondate, o a spedizioni nei Caraibi in cerca di tesori sommersi. Tuttavia, in questo caso ci concentreremo su un aspetto diverso: l’archeologia che si sta sviluppando in alcuni paesi africani grazie allo Slave Wrecks Project (Swp, progetto relitti navi schiaviste). Questo progetto mira a fornire alle comunità dei discendenti delle persone africane ridotte in schiavitù, strumenti e conoscenze per identificare, preservare e raccontare le storie dei relitti che giacciono nelle loro acque. Avviato nel 2008, lo Slave Wrecks Project si è ampliato grazie alla collaborazione con università, musei ed enti internazionali, con l’obiettivo di sensibilizzare sull’importanza dello studio dei relitti delle navi schiaviste. Queste imbarcazioni rappresentano una testimonianza storica cruciale, permettendo di raccontare le vicende dal punto di vista delle vittime e non attraverso la tradizionale lente eurocentrica. Nonostante la gravità di questo capitolo della storia umana, lo studio delle navi coinvolte nella tratta atlantica è ancora poco sviluppato. Gli archivi documentano il naufragio di oltre mille imbarcazioni lungo le rotte dell’ Atlantico, lungo le quali sono state deportati più di 12 milioni di africani. Tuttavia, questi relitti spesso non attirano l’attenzione degli archeologi perché privi di valore economico diretto, come oro o altri tesori, e anche a causa della scarsa presenza di afrodiscendenti nel campo dell’archeologia subacquea. Un esempio emblematico è lo studio in corso su un relitto al largo delle coste del Mozambico. La nave trasportava centinaia di persone, tra cui molti bambini, rinchiuse nelle stive per aver tentato di ribellarsi. Il naufragio causò la morte di oltre 300 persone, intrappolate senza via di scampo. Questo tragico episodio dimostra il coraggio e la disperazione di chi, ridotto in schiavitù, cercava di resistere per non essere strappato dalla propria terra. L’archeologia di questo periodo buio della storia dell’umanità è un campo spesso trascurato, probabilmente anche perché mette in discussione narrazioni storiche consolidate e affronta una delle pagine più terribili della storia dell’Umanità. Tuttavia, è essenziale far luce su queste vicende, non solo per rendere giustizia a chi le ha vissute, ma anche per comprendere come abbiano influenzato il mondo di oggi.
Nelle foto: Litografia e ricostruzione virtuale della nave Clotilda, che fino al 1860 trasportava uomini dall’Africa agli Stati Uniti, nota come l’ultima utilizzata per questo scopo, i cui resti sono stati ritrovati nel 2019 in un fiume dell’Alabama.
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