I social-media sono la macchina perfetta per generare invidia, sentimento vecchio come il mondo, fenomeno che si è acuito particolarmente nell’era della pandemia, quando la maggior parte di noi ha vissuto più on-line che off-line. Su Instagram siamo inondati di foto dai panorami eccezionali, dai piatti più gustosi, dalle forme fisiche perfette dei mittenti, grandi sorrisoni, luoghi anche irraggiungibili per buona parte dei destinatari delle foto. Tutti si sforzano di mettere in vetrina soltanto il loro meglio, Fallimenti e “momenti-no” restano invisibili: esistono solo i successi e il quadretto della famiglia Brambilla felice. Sono tutti ingredienti che possono far scattare l’invidia, che spesso è una reazione di avversione a un’inferiorità che percepiamo rispetto a chi gioca nel nostro stesso campo. Il villaggio globale di Internet non lascia scampo: è necessario mostrarsi, esibire, fare vedere che si ha, che si dispone in modo illimitato. L’invidia è un sentimento che va combattuto con l’indifferenza. Quando è nata l’invidia? Forse 12.000 anni fa, quando è nata l’agricoltura e contestualmente il concetto “della mia pianta più bella della tua”. Gli orti delle nostre nonne erano oggetto di invidia: si facevano i paragoni, si rendevano gli spazi il più possibile curati rispetto a quelli del vicino. Dobbiamo reagire a questo brutto sentimento: essere invidiosi significa sentirsi inferiori rispetto alla persona invidiata. Fare finta di niente spesso è la reazione più ragionevole.