Abbiamo ricevuto dalla signora V.G., che chiede l’anonimato, questo contributo che ben volentieri pubblichiamo: “Un mese fa mi sono sottoposta al test per il Coronavirus nel nuovo spazio allestito del Gervasutta di Udine. Tutto mi sembrava ben organizzato ed efficiente: ho passato 15 secondi di disagio durante il prelievo: sembrava che il tampone finisse nel cervello. Poi sono stata rispedita a casa con una pagina di istruzioni su cosa fare in caso di esito positivo, con tutti i numeri telefonici da chiamare in caso di bisogno. Si spiegava in modo approfondito come prevenire la trasmissione attraverso le superfici e c’erano vari dettagli sui disinfettanti per igienizzare l’ambiente in cui si vive. Non ho trovato neppure la minima traccia sulla buona ventilazione degli ambienti, forse il rimedio principale per tenere lontano il virus. Arrivata a casa, quasi per caso, ho letto alcune mail di grosse aziende che cercavano di rassicurare i propri clienti sulle loro precauzioni sanitarie. Una nota compagnia aerea informava che sanificava diligentemente più volte al giorno le superfici interne dei loro aeromobili e dei terminal, ma non aggiungeva particolari sull’efficacia della circolazione dell’aria, quella artificiale, corresponsabile della diffusione di massa del virus”.