In un angolo della kovacia c’era sempre del carbone ardente e al bisogno il fuoco era attizzato per permettere l’incandescenza del ferro e la sua lavorazione. Come dice il proverbio, Guido batteva il ferro fino a che era caldo. Sagomato a seconda dell’impronta di ogni singolo cavallo e zampa, il ferro ancora caldo era immerso nell’acqua per l’abbattimento non completo della temperatura, quindi apposto allo zoccolo dell’animale. Ogni tanto i clienti giungevano da lontano e, a pagamento avvenuto della prestazione, Guido andava in osteria e ordinava tre quarti di vino con 5 o 6 bicchieri. E aspetta che ti aspetta (i clienti se n’era già andati da tempo), diceva alla Diana: «Kùai tua de ne prideju gor -come mai che (i clienti) non vengono su-?» e la Diana: «Ah, na stùajse bat, Guido, na pride nobedan -ah, non avere paura, Guido, non viene nessuno». Sono aneddoti che fanno parte della storia del paese.