Ce ne siamo occupati più volte in passato, ma emergono sempre nuovi aspetti che completano la descrizione di questo fenomeno. La piaga più evidente che ha spopolato le Valli e che, di fatto, ha spinto il 50% della popolazione a un esodo di dimensioni mai riscontrate prima è stato il periodo dell’emigrazione, questo tragico aspetto del XX secolo, quando molti valligiani abbandonarono i paesi in cerca di lavoro e migliori condizioni economiche di vita. Già nella seconda metà dell’Ottocento si registrava un flusso migratorio stagionale (Guziranje) verso l’Austria, Ungheria e la Germania, con numerose persone arrivate anche in Russia, fino in Siberia, dove gli zar costruivano grandi opere infrastrutturali. Agli inizi del ‘900 molti emigrarono negli Stati uniti e in America latina. Si trattò di un grande esodo, che diventò un dramma negli anni ’50-’60 con forme paragonabili a una vera e propria fuga che si indirizzava verso l’Europa (Francia, Germania, Svizzera, Belgio), verso le Americhe (Canada e Venezuela), verso l’Oceania. Una fuga che corrispose a una fiumana umana, senza la possibilità di un’arginatura, caratterizzata dall’abbandono dei paesi di intere famiglie, con conseguenze drammatiche per i centri più periferici.