Il popolo friulano, assieme ai toscani, è conosciuto per la quantità e fantasia di bestemmie, senza dimenticare che la città di Roma, oltre ad essere la capitale dell’immondizia, è anche la capitare del turpiloquio. Non vanno affatto male neppure i residenti delle vallate della bergamasca e del bresciano. I simpatici romani riescono a forgiare la giusta parolaccia adattandola al momento, creata “ad hoc” per meglio inserirla nel contesto. Da noi l’alternanza parola-bestemmia è passata di moda. Le statistiche indicano che la bestemmia non è più ai vertici dell’intercalare nostrano. Nei locali pubblici di un tempo, ma anche nelle corriere, o nelle stazioni, oltre al cartello rettangolare in alluminio con su scritto “Non sputare”, c’era anche il “Non bestemmiare” con il riferimento all’articolo 724 del Codice penale. Buona parte delle bestemmie friulane sono state esportate in Slovenia, Croazia e Austria, a volte pronunciate da persone che ne conoscono il contenuto a sommi capi. La letteratura italiana è ricca di parolacce, usate in abbondanza da Dante e anche da Leopardi nella sua corrispondenza privata. Nel vocabolario Treccani ci sono 365 lemmi etichettati come “volg.”, ovvero volgare, del volgo, popolano. Possiamo dire che la libertà d’espressione è aumentata rispetto al passato, ma il livello è scaduto, ultimamente manca di fantasia, è più fastidiosamente volgare. Sesso ed escrementi sono i padroni, mentre le offese di etnia o di genere risultano più aggressive, più cattive. Le classi maggiormente istruite tendono a non bestemmiare: se non temi o non credi al tuo dio non hai bisogno di maledirlo. Il “vaffa” -ci scusiamo per il francesismo- è forse l’intercalare più usato, al punto che è diventato lo slogan di un movimento politico. Appare sulla stampa per la prima volta nel 1963 con la scritta “v*ff*nc*l”, trasformato con metamorfosi in “vaffa”, ovvero una post-parolaccia privata del suo potere performativo. Non parliamo degli organi sessuali maschili e femminili: qui ci vorrebbe un allegato al dizionario!