Il sesso maschile di un secolo fa, in riferimento alle possibilità economiche della famiglia, cercava di curare il proprio look conservando nell’armadio almeno un completo per il dì di festa, dunque un “ghvànt” (abito) per la domenica, per tutte le feste comandate, per le cerimonie e per la bara. Nei giorni feriali non si dava importanza allo stile perché il lavoro non lo consentiva in quanto si svolgeva tra campi e stalla, ma nelle giornate di precetto l’abitudine imponeva una minima eleganza che ha trasformato molti paesani in autentici figurini da passerella. Le fotografie di famiglia con la coppia davvero elegante, scattate davanti al tavolino con il vaso di fiori degli atelier fotografici di Verderi o Bront di Cividale ne sono una prova. Non c’era maggiorenne privo di cappello, indossato immediatamente all’uscita da casa. Anche in questo caso, c’era il cappello della domenica acquistato da Bier, simbolo di eleganza, oppure da lavoro quindi più modesto, utilizzato per difendere la testa e i capelli dalla polvere e dal sole. Fino agli anni ’50 era assai popolare anche il gilet, dal cui taschino a volte si intravedeva la catenella dell’orologio “a cipolla”. Tutti a Messa ben curati, esposti al severo giudizio della gente. Dopo la funzione religiosa le signore tornavano alle faccende di casa e in pomeriggio in stalla, mentre gli uomini santificavano il giorno di festa con i giri nelle osterie del circondario e con rientri spesso dal passo incerto alla sera. Dunque, anche il modo di vestire maschile si è evoluto nel tempo. Oggi il cappello è un accessorio riservato a una minoranza e possiede un aurea di distinzione. Il gilet è rarissimo, mentre è ingiustamente sparito anche impermeabile un tempo, fino agli anni ’70-’80, presente in tutti i guardaroba. Oggi è tempo di giubbotti, di giacche a vento, di piumini e soprattutto di sciarpe lunghe anche più di due metri, avvolte intorno al collo. Certo che i ragazzi con i guanti indossati già ad ottobre …