Prendersi cura degli altri non significa certamente distribuire sorrisi come sostengono oggi i maghi della felicità che propongono lezioni di positività, addirittura di “igiene della felicità”. Anche vari governi non sono insensibili a quest’aspetto. Ci sono Stati che intendono introdurre la ricerca della felicità all’interno della loro Costituzione. Ma la felicità è qualcosa di aleatorio, di personale. In poche parole, non ha modelli e non può essere ridotta a una caccia al tesoro. Si tratta di un’emozione contradittoria, che contiene anche una piccola percentuale di malinconia o tristezza. Non esistono formule per essere felici, ma la consapevolezza di essere felici passa anche attraverso il suo opposto, l’infelicità che non è certamente un peccato da cui nascondersi. Perciò, fra desideri e aspirazioni, possiamo imparare che quelle incertezze che temiamo e ci mettono in discussione, sono un’autentica risorsa. È questa la via che ci avvicina alla felicità: imparare a vivere con gli altri, spegnere il telefonino il più possibile, dimenticarselo, ascoltare gli altri, dialogare che equivale a conoscere noi stessi, che porti ad un continuo scavare fintanto non si sia fatto lo spazio che permetta alla felicità di entrare. Nella massima semplicità possibile.