All’ospedale di Cividale le suore erano il punto di riferimento delle cure post-operatorie e assistenziali, con competenze professionali mai dimostrate o certificate. Chi scrive, ricoverato per un semplice intervento chirurgico, ricorda ancora un’orribile suora, piccola, tarchiata, vecchia, con un enorme grembiule e con il potere di impedire la visita della mamma al figlio appena operato, obbligandola a fermarsi alla porta d’ingresso del reparto dopo aver raggiunto l’ospedale in bicicletta. Era la suora che spesso parlava al posto dei medici e alla fine decideva come e quando ammettere una persona al capezzale del malato. Era la suora che somministrava i medicinali prescritti dai medici, che provvedeva alle iniezioni e con l’aiuto di altre consorelle a preparare i pasti da distribuire ai degenti, con le bistecche tiepide e asciutte in superficie, e più saporite e condite in fondo al tegame, destinate ai pochi eletti. Nei reparti dell’ospedale la vita con le suore si svolgeva tra un rosario e l’altro, sempre nel timor di Dio, della morte, mentre la sofferenza fisica era spesso considerata un dono del Signore, un qualcosa che avvicinava al Cielo. La sostituzione di queste “munje” con personale qualificato fu considerata una grande libertà e l’inizio del raggiungimento di un manifesto molto importante: il diritto del malato …