Il negozio del paese aveva un orario di apertura ben stabilito, nonostante ci fosse l’abitudine non sempre corretta o giustificata di bussare all’abitazione fuori orario per farsi consegnare articoli a volte non urgenti. Ci eravamo già occupati dell’olio di semi sfuso, venduto a peso o a numero di “krùhanze” -mestolo-: la richiesta più comune era il quarto di litro. L’odore inconfondibile dei sardelloni sott’olio proveniva da una scatola di metallo dal peso verosimile di 5 kg., colore blù con l’immagine del guizzo di un pesce nero. Flip diceva: “Faccio la polenta, la toccio nell’olio e poi mi mangio i ‘sardeloni'”. Il tonno sott’olio era collocato un una scatola, sempre sui 5 kg, di colore giallo metallizzato con l’immagine del pesce e di un veliero. Ben più penetrante era l’autentico tanfo del baccalà che sgocciolava da un trespolo. La fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima coincidevano con la maggior richiesta di baccalà e solo l’abilità del negoziante precisava l’esatta quantità di stoccafisso da tenere in negozio. Era il pesce dei poveri, oggi è una pietanza per buongustai. L’invenduto andava consumato in breve tempo, quindi nonostante le proteste di Evelino, nel piatto poteva esserci per giorni baccalà-baccalà-baccalà. Anche la marmellata e la conserva potevano essere acquistate nella quantità richiesta che a volte corrispondeva a una sola pennellata sulla carta oleata con la successiva chiusura “a orecchio”, tipica di Elsa e Amilcare e che oggi non tutti saprebbero rifare …