18.11.2024 Tiglio: ricordi di una vita passata.

Riproponiamo un articolo di Renzo O. del 17 giugno 2011. Seconda parte (2 di 2).

Continuo il mio articolo precedente  descrivendo la casa dei Zupèel e molte altre di quei tempi. L’ognìisce (fogolar), posto al centro della stanza aveva, sì, la cappa dove venivano appese a nere catene  le pignatte dove si faceva il mangiare e si riscaldava l’acqua, ma non aveva il camino per portare fuori il fumo; il fumo creava una spessa nuvola che dal soffitto arrivava fino alla parte alta della porta e da qui poteva uscire perché i battenti erano formati da due parti di cui una, quella in alto, apribile verso l’esterno. Quella nuvola nera, oltre a depositare sulla parte superiore della stanza una grassa patina nera e lucida, lo “zìin”, faceva stare piegati i presenti…forse è per questo motivo che gli anziani erano quasi tutti incurvati (ad esempio Danilo  “Cavìc” di Ponteacco). I giovinastri di allora li prendevano in giro dicendo:”al bomo targal fige s’tabo?” cioè, “ti adoperiamo per tirare vicino i rami di fico” e farsi una bella mangiata! Piccole cattiverie; questo strumento usato per raccogliere la frutta e a forma di gancio si chiamava “Kiùka”. Gli infissi di allora erano pieni di spifferi e, nonostante il fuoco fosse vivo, la stanza non era mai calda abbastanza; quelli seduti attorno all’ognìisce erano bollenti davanti mentre avevano le schiene ghiacciate, così che ogni tanto erano obbligati a girarsi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *