La manifestazione culinaria “Invito a pranzo” ha subìto una battuta d’arresto a causa dell’emergenza sanitaria e, poco prima, dai risultati piuttosto modesti per il caro-prezzi e per le porzioni misere, poco più di un assaggio e questo costituirà uno dei potenziali fallimenti della rassegna gastronomica che in questi anni ha fatto conoscere ad un pubblico assai vasto le caratteristiche della cucina valligiana. Ci siamo chiesti: esiste una cucina valligiana? Gli aggettivi che solitamente si usano per definire la nostra cucina sono: “semplice”, “genuina”, “povera”, “rurale”, ma se ciò oggi è simbolo di ricercatezza in una felice contrapposizione al mangiare “globalizzato” e ai gusti standardizzati, o al divismo che interessa i grandi cuochi (non ce n’è uno che non abbia scritto un libro, a cominciare dal cuocone Cavaturacciolo, sempre in tv), non fu così in passato. Nel ricostruire la storia della nostra cucina, dobbiamo tenere conto che molto è andato perduto, compresa quella tradizione orale che si è interrotta decenni fa. La cucina del nostro territorio corrispondeva ad un’esigenza fondamentale: cercare il meglio per contrapporsi alla fame, mettendo in atto gli stratagemmi utili per rendere commestibile ciò che la natura offriva, per sfruttare al meglio i prodotti del coltivare una terra non molto generosa …