20.07.2022, La calce di Stupizza (2/2)

   Per ottenere la calce viva, era sufficiente procedere ad un’abbondante “annaffiatura” delle pietre e la loro reazione chimica era qualcosa di sorprendente: le pietre assorbivano l’acqua, sprigionavano fumi e gas, a volte anche con schizzi caustici potenzialmente pericolosi se non si assumevano determinati accorgimenti. Le pietre si trasformavano in calce viva, dalla consistenza simile al burro, di colore bianco scintillante. Dopo la guerra, la calce in paese fu usata in grandi quantità, anzitutto come materiale di costruzione poiché unita alla sabbia, formava un tipo di malta economica, resistente e adatta soprattutto per gli intonaci interni. In quantità moderate, era presente nei pollai perché aiutava la gallina a produrre uova con il guscio più resistente. La calce viva aveva un largo impiego come disinfettante: il porcile era ben imbiancato prima dell’arrivo dell’inquilino, ma anche le stanze delle case erano tinteggiate con il “latte di calce” specie all’indomani di un decesso causato da una lunga agonia. Il contatto pelle-calce causava ustioni paragonabili a quelli della soda caustica e i bambini dovevano prestare attenzione quando giocavano a negozio e all'”Amilcare di turno del gioco” si ordinava mezzo chilo di “burro”, che lui avvolgeva piegando gli angoli della carta d’imballo con quel sistema di piegatura “a orecchie”, una dentro all’altra, che molti di noi ancora ricordano.

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