Nelle lunghe domeniche d’estate, oppure il sabato sera, in piazza si giocava al kighi. La piazza era il cuore pulsante del paese. In cosa consisteva questo gioco? Facciamo un passo indietro. Emaz, proprietario dello stabile dove poi ci fu l’osteria, al ritorno dall’America con la sua prima moglie Gina, aveva portato con sé una serie di 4 birilli di legno alti circa 40 cm, perfettamente torniti e verniciati, con la base un po’ più stretta rispetto alla sezione centrale del pezzo di legno. C’era un kigo più piccolo, alto circa una 15/20-ina di centimetri che fungeva da “pallino” nel lancio della boccia e nella speranza che con l’effetto-domino cadano gli altri quattro birilli. Si formavano autentici capannelli di tifosi che giudicavano il tiro e il suo effetto sulla scena finale. Teatro del gioco era l’ombra del vecchio gelso e la piazza, autentica finestra sul nostro paese come scrisse F.S. nel suo simpatico libretto dedicato a Ponteacco. Il gelso con le sue radici non permetteva tiri precisi e la presenza di quegli intrecci legnosi era una variante da considerare. Non esisteva l’asfalto, ma il manto di ghiaia, forse meno insidioso delle buche contemporanee presenti nell’asfalto vicino alla cappella. Con uno scopino di saggina ogni tanto si dava una ripulitina al piano di gioco per permettere lo scorrimento della boccia, anche quella di legno. Emaz ripudiò la signora Gina, che credeva sterile, per poi sposarsi con la signora Gemma, matrimonio senza eredi. Saranno stati i kighi o le palle di legno? … è una battuta, solo per chiudere questa notizia!