20.09.2023, Consommé blues (di F.S., 1/3)

Chi lo fa nuotando, chi correndo, chi in palestra. Io il fiato l’ho fatto in una vecchia 500. Era inizio

primavera, scambiata per la coda dell’inverno. Un vento freddo da miserere e un cielo sporco da

kyrie accompagnavano una giornata mesta da requiem. Con queste premesse non c’è simpatia

che tenga. E per una storia di grandi pretese, con molte proroghe e una revoca, la sofferenza

presenta un conto salato che non si paga in nero. E così mi sono ritrovato solo e antipatico a

chiedermi perché ci si innamora di una persona sbagliata. La causa aveva carnagione spalmata,

fredda e fatata, capelli soffici e in disordine. Il naso snello e dritto e una bocca afrodisiaca che mi

tempestava le tempie e mi bruciava i grassi in eccesso. Gli occhi erano difficili da sfogliare: un

libro con pagine corrette, da riscrivere. Mi ero fatta l’idea che fosse irraggiungibile e scontrosa

perché diceva di no! ogni volta, anche prima di aver sentito la domanda. Era una barista sotto

sorveglianza e quelli informati parlavano di una esperta in passaggi di proprietà, con discreta

esperienza in motorini e biciclette e più tardi in portafogli. Aveva un vantaggio, se si può dire:

dalle nostre parti era pressoché sconosciuta, tranne per quelli che lavoravano in questura. “Vengo

con te solo se la tua macchina ha l’idromassaggio”. Sono andato a prenderla al bar dove lavorava

con il timore che mi chiedesse il 730. Ci siamo appartati in riva al fiume e accomodati, nei limiti

concessi dalla vecchia 500. “Sembra di stare in una scarpiera”, le è sfuggito. Poi ha tirato fuori

una bottiglia di spumante e l’ha stappata senza dire cosa dovessimo festeggiare. A vederla bere

faceva venire sete a chiunque, astemi compresi. Il motore girava al minimo, lei era su di giri e io

insistevo nel pagare il bollo per una scarpiera. All’inizio poteva apparire svampita, invece a

conoscerla rivelava una sua profondità tutta da scoprire. “Sei stata mai felice?” “Quando ho

potuto. Nella mia vita ci sono sempre motivi per non esserlo. Non chiedermelo più”. Scorgevo

tracce di cinismo e rancori nella scia malinconica in cui per un attimo si era persa. “Non lo

dimenticherò”, ho approvato sottovoce. “Dimenticherò è voce del verbo abbandonare”, ha detto

ambiguamente. La leggerezza del debutto era persa, ma eravamo giovani e scemi e sulla sua

scontrosità avevo cambiato idea. Con intima spiritualità le ho carezzato i capelli e lei, con intima

spiritualità, mi ha preso la mano per posarla sui suoi fianchi. Sapeva di lavanda e di Moscato.

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