Ponteacco detiene e rivendica un ruolo di primo piano in un ambito decisamente particolare: la caccia alle talpe, unico piccolo mammifero ipogeo, vivente nel sottosuolo. Durante gli anni ’30 e fino ai ’50 i cacciatori si moltiplicarono, allargando così la loro passione in luoghi anche lontani da Ponteacco. Il motivo della caccia e della successiva soppressione dell’animaletto era costituito dalla richiesta di portamonete, accessorio elegante sia per le signore che per i signori del tempo. Un morbido salsicciotto di velluto nero-blu, lucido, lungo non più di venti centimetri, con una zip, che conteneva le viscere dell’animale cieco, dotato di una forza incredibile. La talpa si orienta con l’olfatto e scava soprattutto di notte, creando gallerie capaci di raggiungere uno sviluppo anche di venti metri in 24 ore. Tanta terra che diventa troppa quando l’animale deve provvedere a liberarsi del surplus del materiale scavato, creando una deviazione verso la superficie dove lasciare il tanto odiato cumulo di terra, deturpatore di giardini e orti. I nostri cacciatori si avvalsero anche di trappole costituite da una serie di chiodi lunghi e sottili, ricurvati all’interno, disposti in circonferenza dove la talpa poteva entrare ma non più uscirne senza rimanere trafitta. Per i nostri cacciatori si trattò di un hobby remunerativo. Oggi le talpe sono sempre presenti (i prati di Enzo ne sono una prova), ma decisamente meno rispetto ai decenni scorsi: mancano i vermi necessari per il loro nutrimento perché non ci sono più superfici con animali al pascolo o trattate con la gnojnìza, il liquame delle stalle.