Dai registri penali, chiamati “raspe”, è possibile risalire a scarne informazioni biografiche relative ai 3.563 imputati, cifra sicuramente in difetto per l’imprecisione di molti atti e di numerosi fascicoli mancanti, consistenti il patronimico (indicazione del nome del padre), la professione, la residenza e un giudizio sommario sulla morale dell’imputato, il certificato penale di oggi. Si legge la sentenza dell’ergastolo comminata a un omicida recidivo cividalese, assassino di tre persone. Negli atti c’era il nome del querelante, tranne quando si procedeva per anonimato, pratica assai diffusa in quei secoli. Molti documenti sono illeggibili, altri parzialmente leggibili. Nelle sentenze, trascritte come oggi su dettatura (nulla è cambiato nei secoli!), quasi sempre è descritta la dinamica dei fatti, a volte scarna ed essenziale, altre volte lunga e particolareggiata. Il giudice interpretava la richiesta della parte lesa e, sentito il difensore dell’imputato, pronunciava autonomamente la sentenza.