22.09.2023, Consommé blues (di F.S., 3/3)

Il tempo è tondo e rotola in avanti. Ci siamo frequentati per un breve periodo, tra le sue assenze

incomprensibili e i miei malumori e sospetti, sempre più di rado e spesso nella vecchia 500: io a

fare il fiato e a bruciare i grassi residui e lei a scrivere i suoi aforismi sul parabrezza appannato.

Era un addio annunciato e gli addii non hanno anestetici, specialmente quelli rapidi e definitivi. È

avvenuto tutto in una notte asciutta, con un cielo senza stelle e senza luna. E per me poteva essere

perfino una notte senza cielo che non faceva nessuna differenza. L’ho vista insolitamente strana.

Nella scarpiera ha stappato una bottiglia di vino bianco e a vederla bere faceva arrossire qualsiasi

etilometro, carabinieri compresi. Mi carezzava con intima spiritualità, ma svogliatamente, tanto

che le ho chiesto se con intima spiritualità mi stesse spolverando. “Tutti si innamorano almeno

una volta della persona sbagliata”, ha predicato con tono incoraggiante, da protagonista. Il

sermone mi ha fatto salire la pressione: avevo capito che non brillavo nella sua galassia. “Quelli

fortunati, almeno una volta. Gli altri di più, l’hanno imparato anche i lampioni”, ho replicato con

tono fiacco, da comparsa. La mia riflessione era un purgante e lei l’aveva ascoltata con scarsa

partecipazione. “Non fare quella faccia da consommé”, ha commentato scrutandomi. Mica ragù o

besciamella. Ho pensato che certi valori espressivi, oscuri e inspiegabili, fossero da approfondire.

Di ritorno, arrivati sotto casa, le ho chiesto: “Com’è una faccia da consommé?”, con poca

convinzione perché a quel punto mi mancava la voglia e il brivido di saperlo davvero. Mi ha

lanciato un’occhiata d’impazienza, probabilmente per un imprevisto, o più semplicemente per la

fretta di andarsene. “È una faccia da brodo ristretto”. Ho sorriso storto, come più o meno si

sorride prima di piangere. Se non altro ha avuto il buon gusto di non aggiungere il finto

rammarico o le vaghe promesse previste dal protocollo: mentre ci si lascia diventano una inutile e

insopportabile bugia. L’ho salutata agitando una mano e con l’altra sono andato svelto alla tasca

dove ripongo il portafoglio. Non c’era, tuttavia mi sono tranquillizzato ricordandomi che l’avevo

lasciato a casa di proposito. Ho smesso di pensare a lei improvvisamente, ed è stato come se

durante il temporale un fulmine mi avesse improvvisamente tolto la luce. Non l’ho più rivista e

non so che fine abbia fatto. Forse ha cambiato città, forse ha messo su famiglia, forse è agli

arresti. Forse me la sono inventata. Il resto è stato un bel sognare.

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