23.05.2020, La criminalità nelle Valli tra ‘400 e ‘700 (4/4).

   Nelle “raspe” era indicata la presenza o meno dell’imputato per difendersi dopo essere stato citato in giudizio. Era in voga la latitanza, specie per i reati più gravi. La pena pecuniaria era inflitta per i reati lievi e senza spargimento di sangue e si tramutava in carcerazione nel caso di mancato pagamento. Per i reati più gravi era prevista la pena corporale e la pena capitale pertanto gli imputati preferivano darsi alla macchia pur di risparmiarsi la vita o lunghi periodi di detenzione in celle malsane con sì e no 100 grammi di pane al giorno. Le pene corporali andavano dall’asporto di un occhio al taglio della mano. La pena di morte doveva essere esemplare e propedeutica: avveniva per impiccagione o squartamento. La meretrice o l’adultera erano collocate sulla schiena d’asino, a cavalcioni, all’indietro, con una mitra in testa sulla quale era descritto il delitto in breve. L’entità della pena era spesso variabile e l’assoluzione era “pro nunc”, per cui l’imputato era momentaneamente libero, ma richiamato al bisogno.

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