La solitudine pare faccia bene al cervello, organo plastico, influenzato da emozioni e stati mentali che costituiscono un forte impatto sul nostro modo di essere. Le persone più solitarie -dicono gli esperti- presentano infatti un’aumentata attività cerebrale, insomma menti maggiormente attivate, allenate e sensibili a quelle degli altri per far fronte ai pericoli. Il distanziamento tra persone ci consente di mettere ordine e di far chiarezza in noi stessi. Silenzio e solitudine ci illuminano e facilitano i processi decisionali. Naturalmente percepirsi soli perché emarginati o depressi non ha nulla a che vedere con una solitudine “felice” e cercata, ovverosia quel momento anche prolungato di pausa, di mancanza di contatti che crea i presupposrti per una successiva rinascita e desiderio d’incontro. Thomas Mann diceva: “La solitudine dà origine alla luce che c’è in tutti noi” -spunto per le nostre notizie di ieri ed oggi-, quindi è intesa non come un fatto oggettivo, ma come una percezione individuale, dettata da caratteristiche personali, dal momento che stiamo vivendo e dalla nostra storia personale. L’uomo è un animale sociale per cui le relazioni affettive sono importanti come l’aria che respira, ma se ci sono momenti di distanziamento, deve avere l’autocontrollo e la forza di rinunciarvi. Siete d’accordo con questa visione?