Forse non tutti sanno che una buona dose d’aceto di mele nella custodia dell’arnese in pietra utilizzato per affilare la falce consentiva una maggior tenuta del ”filo” dell’affilatura. Quando i nostri nonni si recavano in montagna, portavano con sé una bottiglietta con un misto di olio ed aceto per condire le verdure e solo dell’aceto in una bottiglia un po’ più grande. Serviva, dunque, per l’affilatura della falce, ma anche per disinfettare l’acqua attinta alle sorgenti presenti nella zona dove si andava a falciare. Lo si faceva per precauzione, per purificare sia l’acqua che il suo contenitore. Le sorgenti fornivano potabilità quasi certa, ma nei periodi di canicola agostana, dove abbondava il muschio e altri vegetali attorno al punto di raccolta dell’acqua, era meglio avere qualche precauzione in più per evitare pericolosi disturbi intestinali. Il problema si risolveva con l’introduzione nel fiasco, nel bottiglione e nel buzòn di un dito d’aceto e il problema era risolto. Qualche volonteroso, per precauzione effettuava anche una breve ricognizione sul luogo a monte della sorgente per verificare la presenza di animali morti o di rifiuti organici. Era considerata “buona” la sorgente che aveva una portata costante, che non diventava “mòtna” (opaca) durante le precipitazioni e con una temperatura fresca, che faceva arrossare i piedi se inseriti nella vicina pozzanghera.