Come correttamente notava Renzo, il legno usato per la produzione dei portanti delle scale era il tiglio, resistente, elastico e naturale antitarlo. Nell’ispezionare le piante del proprio bosco, si sceglieva il tiglio con uno sviluppo in altezza regolare, possibilmente lungo e senza nodi. Una volta abbattuta, la pianta diventata un lungo palo, era portata nel klobàt, il fienile di casa. Si praticava ai lati opposti del palo una lunga incisione nella corteccia, larga un centimetro fino ad arrivare al legno ancora fresco. Quest’operazione doveva essere effettuata con la Luna vecchia di febbraio o di agosto. Il palo era collocato sotto il fieno in attesa dell’ultima lavorazione, che avveniva dopo alcuni mesi. Il fieno aveva la proprietà di asciugare in modo naturale il palo senza esporlo ad intemperie Con la skìara (accetta) si colpiva una delle estremità del palo, che si “apriva” esattamente a metà, proprio in corrispondenza delle incisioni perpendicolari nella corteccia fatte mesi prima. Il legno diviso in perfetta metà, con un taglio pulito senza intaccare le venature, era poi sottoposto alla creazione dei fori con l’utilizzo del succhiello e quindi si inserivano i pioli d’acacia, leggermente sagomati per consentire una buona presa delle bòte o delle pedule (stivali o scarpette).