26.01.2021, La devozione a Sant’Antonio

   Non c’era stalla che non avesse un’immagine del santo protettore, non c’era casa senza un santino o un quadretto riferito all’abate, festeggiato lo scorso 17 di questo mese, data del gran freddo invernale. Visse tra il III e IV secolo, tentato più volte dal demonio che si presentava in forme diverse e in particolare in quelle di bellissime donne a cui egli si oppose con la forte preghiera. Il “fantastico” devozionale dei ponteacchesi e, in genere, dei valligiani, voleva che egli fosse sceso all’inferno dove avrebbe rubato una fiamma eterna per portarla agli uomini, il cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio”. Si trattava di una trasposizione del mito greco di Prometeo? Forse sì, anche se la Chiesa mai è stata d’accordo. Si aggiunsero alla sua figura i simbolismi legati al particolare momento calendariale, quando tutta la popolazione del nostro paese e delle Valli era costretta a tirare la cinghia. Fino agli inizi del ‘900 anche a Ponteacco si accendevano fuochi in suo onore come rinvigorimento della forza del Sole da poco rinato nel solstizio d’inverno. Avevano un ruolo propiziatorio in vista dell’imminente ripresa primaverile, a favorire la fertilità della terra. Era invocato quale protettore delle stalle e in genere di tutti gli animali domestici, contro le malattie, a favore di una gravidanza e di un parto bovino, per proteggere gli inquilini del porcile e del pollaio. Il 17 i nostri paesani raggiungevano Clenia a piedi, lungo il Klančič. Era celebrata la messa e c’era un po’ di festa.

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