In passato ci siamo occupati più volte di krivapete, baladanti, tantazmote e del loro influsso nella coscienza popolare non solo del nostro paese, ma delle Valli intere. Ci siamo occupati di recente anche dei numerosi luoghi della paura, come le Makota, le Teja, Kartèj, Kotlìnza, il sentiero del mulino dove le numerose testimonianze giunte ai giorni nostri narrano di incontri, visioni, rumori strani, improvvise folate di vento di pochi secondi. In queste puntate cercheremo di capire l’origine della paura a Ponteacco e nelle Valli. Alla vigilia dei primi insediamenti di Villa di Ponteglaco -Pontiliacus, 1257-, il paesaggio descritto da Paolo Diacono era di “solitudini”: grandi spazi silenziosi, pressoché privi di abitanti, dove il bosco era cresciuto fuori misura. Una lunghissima decadenza con rovine disseminate qua e là: prima gli Unni, poi i Longobardi e quindi gli Slavi al seguito degli Ávari. Il paesaggio era desolante, vagavano più animali selvatici che uomini, diventati paurosi e, assieme, aggressivi. Prima del ‘200 la ridotta popolazione ha fatto i conti con invasioni, inclemenze del clima, lunghe malattie che colpirono gli uomini e gli animali, carestie che portarono i pochi abitanti al logoramento fisico e mentale …