La follia assumeva varie forme: alcuni dei nostri perdevano la parola, altri erano atterriti da continue e terrificanti allucinazioni. Per i comandanti si trattava di rari episodi ascrivibili al DNA della famiglia, aspetto senza alcun riscontro. Gli scienziati definirono la malattia mentale dei nostri soldati come “regresso dell’infanzia”. I nostri militari che ne soffrivano sembravano essere tornati alla fase infantile: si esprimevano attraverso un linguaggio limitato a 100-200 parole, non sapevano mangiare da soli, si sbrodolavano, passavano la notte a piangere, a invocare la mamma, la moglie, la fidanzata. Per fortuna c’era diserzione, molti specie nel goriziano (fatto sconosciuto dalla storiografia) preferivano passare dalla parte del nemico-imposto. Intanto le Valli erano saccheggiate da militari che picchiavano gli anziani, svuotavano stalle e porcili. A guerra finita, i mutilati dovettero faticare sette camicie per aver riconosciuta una qualche indennità, mentre i malati mentali furono rinchiusi in manicomio a UD o GO, proprio dalle famiglie che non erano in grado di gestirli. Disperazione, morte, terrore, fame, insensata superficialità, piacere nel procurare sofferenze. Una Grande Guerra davvero, che ha tutti i nomi e cognomi dei responsabili.