Entravano in azione gli altri componenti della famiglia, i più giovani che, anziché potersi concedere il lusso di girarsi nel letto e godersi le vacanze, niente, si dovevano alzare alle 07:00, fare colazione e raggiungere di filato a piedi la parrocchia di San Pietro al Natisone per frequentare un’ora di assurda, inutile e obbligatoria dottrina. Un’ora e più di preghiere e spiegazioni impartite ai ragazzi da persone che già vivevano nell’agiatezza e che non conoscevano la fatica. Tornati a casa, si dividevano i compiti: di corsa in montagna con il rastrello, con i piatti e i bicchieri in attesa del pane e del minestròn con le tajadèje che arrivava sul posto di lavoro entro mezzogiorno esatto, ancora caldo e con non poca fatica di una giovane per trasportarlo fin lassù. Dopo 4 o 5 ore, a seconda della superficie prativa, iniziava l’operazione di rastrellamento dell’erba tagliata da poco e ormai quasi asciutta. Tutte le braccia avevano valore, da quelle dei ragazzini a quelle delle donne, in una fatica immane che oggi è lontanamente immaginabile. Si facevano le lonze per favorire l’asciugatura completa dell’erba, poi dopo una settimana la kopà, ovvero la meda.