08.09.2021, La salvezza dell’anima (2/3)

   Nell’antica religiosità delle Valli, prima di accedere al Paradiso, c’era il passaggio obbligato e temporaneo nel limbo, in attesa della sentenza definitiva. Solo nel 1250 circa fu approfondito il concetto di purgatorio grazie agli scritti teologici di San Tommaso d’Aquino (1225-1274), che si diffusero rapidamente in tutto il mondo cristiano. Per la salvezza dell’anima, vivere rettamente, dal punto di vista religioso, non significava solo pregare con fede e compiere le buone azioni cristiane, ma anche impegnarsi fattivamente nelle attività ecclesiastiche, andare almeno una volta all’anno in pellegrinaggio a Castelmonte, poi almeno una volta nella propria vita a Barbana e sul Lussari, collaborare manualmente nella costruzione o mantenimento di edifici sacri. Dopo la morte, sempre secondo il Patriarcato, il benessere dell’anima era affidato ai viventi. Ogni volta che recitavano una preghiera o facevano celebrare una messa in nome del defunto, la sua permanenza in purgatorio si accorciava. Da qui la tradizione ancor oggi presente della messa in suffragio del defunto.

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