Sessant’anni fa mezzo paese era vuoto: se ne erano andati in tanti all’estero per guadagnare qualche soldo in più, con il progetto di costruire la casa, di riammodernare la vecchia abitazione dove mancavano i servizi essenziali. In molti, purtroppo, non tornarono, preferendo sistemarsi in altri Paesi. Il postino Passerini ne ha consegnate di lettere: era l’unico sistema di comunicazione con la moglie, con la fidanzata e con gli amici. Erano lettere semplici, cariche di sentimento, magari un po’ sgrammaticate, ma commoventi. Erano i tempi della scrittura, seguiti da quelli più lunghi della risposta. Lettere che lanciavano i loro tentacoli per sedurre la controparte, per farla entrare nei suoi labirinti verbali, per catturarla e lasciarsi catturare. Un piccolo gioco di specchi, che una volta era un po’ codificato, aveva modalità e convenzioni formalizzate. Erano altri tempi, relegati come cimelio in qualche soffitta delle nostre case. Oggi la civiltà digitale ha alterato i codici dell’amore, orale e scritto, facendo fuori la dimensione dell’attesa, dell’ansia di attendere il postino. La lettera era il contenitore temporale dei sentimenti, come fossero sgranati nella dimensione del prima e del poi. Il posto della letteratura d’amore è stato lasciato alla “whatsApp-eratura”, dove le rezioni sono quasi simultanee. E se nelle tradizionali lettere d’amore era la risposta a trasformare l’assenza in presenza, nella scrittura stringata digitale, l’esserci senza esserci o la presenza in “remoto” è la natura stessa del mezzo e del messaggio. Tutto sul filo dei decimi di secondo. E chi mai avrebbe il tempo di scrivere oggi in un messaggio tipo: “il tuo devoto che arde e spasima per te …”. Sarebbe già tanto se questa frase si trasformasse in “il T.D. che S x te”. E la storia sarebbe finita prima di cominciare!