Sacrificato l’ospite del porcile, trasformato in forme variegate di salumi e salsicce appese a mo’ di pendaglio alle travi della cantina, proprio in questi tempi si procedeva alla manutenzione dello svinjak, il porcile appunto, in attesa dell’arrivo del nuovo inquilino. Si grattavano le incrostazioni sui muri, si lavava il pavimento con acqua ed abbondante varechina (verochina) e, soprattutto si tinteggiava con un generoso strato di calce il vano abitato dal suino. La calce disinfetta. Era certamente il primo del lungo elenco di lavori che i nostri nonni e bisnonni facevano a casa durante queste corte e fredde giornate invernali. In paese tutte le case avevano il proprio porcile: non ci vengono in mente abitazioni della vecchia Ponteacco prive di questa struttura. Alcuni erano anche belli, spaziosi, luminosi, mentre altri erano angusti e bui. Lo svinjak pulito e disinfettato si trasformava in un luogo di gioco per i bambini. Era concesso loro, con qualche cautela, giocare “a casetta” con i pochi piccoli arredi di cui si poteva disporre. In effetti c’era tutto: pareti pulite e bianche, porta, finestrella, korita. Era l’ideale per le bambine e le loro bambole da vestire e nutrire, mentre i bambini si trasformavano in veri uomini di casa.