Recentemente, grossomodo dagli anni ‘90 del secolo scorso, dopo un periodo di parziale oblio, la polenta è tornata come cibo identitario, del mondo alpino e delle sue pianure, a cui sono donate sagre, raduni, piatti di specialità nei rifugi, nei ristoranti (il famoso secondo servito su un letto di polenta), nelle abitazioni private, altroché il culto della pasta, che non ci appartiene. E si sta diffondendo anche nei Paesi Bassi (Piera ci dice: “Una volta portavo con me la farina per cucinarla) ed è abbastanza popolare in Stiria, Carinzia, Tirolo e Ungheria occidentale. Il futuro della polenta è roseo anche perché il mais diverrà sempre più centrale nella nuova tradizione alimentare di tutto il mondo: è privo di glutine, pertanto è l’ideale per i celiaci, la polenta è ricca di carboidrati e la cucina internazionale si appresta in modo sempre più massiccio all’uso di cereali compatibili con ogni esigenza. Il laboratorio di ricerca agroalimentare di Udine ha classificato ben 700 varietà di granturco, ad iniziare dalla farina “biancoperla” in uso da sempre in Friuli. È tornato il regno della polenta nei nostri rifugi di montagna, oppure nelle taverne di casa dove si cucina in paioli di rame, se ne vende a mattoncini bianchi o gialli, attraverso farine precotte per polente “easy”, veloci, tenere. È talmente neutra che sta bene ovunque con lo spezzatino, l’anguilla, il formaggio tenero, gorgonzola o stagionato, i funghi, la fonduta, il toč in braide e altre specialità.