Con l’avanzare dell’autunno il buio iniziava presto e lo scenario delle apparizioni, soprattutto quelle paurose, si apriva davanti a tutti. Fino a un secolo fa, a Ponteacco il paese si faceva deserto, si chiudevano le porte con il kloster, le finestre con gli scuri. La luce in casa era data da una candela e anche tra i familiari le notti erano irrequiete, popolate di incubi e visioni. In tutte le case c’era un’immagine sacra cui appellarsi. La maggior parte delle povere abitazioni, migliorate con il trascorrere degli anni, avevano le camere raggiungibili con le scale esterne. I bambini erano terrorizzati nel dover andare a dormire percorrendole, facendosi chiudere dall’esterno dalla mamma. Alcune eclissi di luna oscurarono il sole e gli uomini cadevano nel terrore mentre iniziava a spirare un vento freddo e temevano che l’astro si spegnesse per sempre. La luna, “lampada di Diana”, teneva accesa la vita di tutte le cose. Il confine tra la vita e la morte era molto sottile, varcato facilmente. Avere un familiare morto in casa era un’ autentica paura. Il corpo era gestito dai familiari in condizioni estreme: case piccole, spesso bilocali dove viveva una prole numerosa, poi zii celibi, zie invalide. Il morto in casa era davvero l’apoteosi della paura, della sensazione del suo risveglio soprattutto alla luce tremolante delle candele. Molto lentamente la vita umana andò ad allungarsi, le condizioni generali migliorarono sensibilmente. La vita divenne meno precaria e la morte meno incombente. Finalmente c’era più ottimismo: l’uomo iniziò ad affezionarsi a questa vita, a dispiacersi nel perderla. Tanti passaggi e la consapevolezza che è stata molto dura.