La liberazione dalle suore presenti fino agli anni Ottanta nella Casa di Riposo Sirch di San Pietro al Natisone fu vissuta con entusiasmo e senso di conquista. Terminava un’egemonia durata decenni, durante i quali hanno fatto il bello e il cattivo tempo. Gli ospiti erano tenuti ad osservare la massima disciplina. Cercando di mantenerci ai fatti e alle testimonianze, quasi certamente condivise da tutta l’opinione pubblica, le suore hanno svolto un ruolo molto controverso, di potere immenso. Era abitudine lasciare alla suora una banconota a favore del parente ricoverato, per consentigli di soddisfare il desiderio di consumare un biscotto o un caffè prelevato dalle macchinette installate da poco. Non siamo certamente di giudicare l’onestà di queste operatrici, dotate di un tascone nascosto dietro al grembiule, come parenti che hanno lasciato cospicue somme di denaro prima e di eredità poi a queste madri di chissà quale confraternita veneta. Secondo la testimonianza di una paesana, al mattino le mùnje verificavano i decessi avvenuti nel corso della notte per poi raccontare ai parenti: «La persona mi è morta tra le braccia». Alle suore del ricovero nulla certamente mancava: vivevano in un angolo riservato, dotato di tutti i comfort, giocavano a carte, non assaggiavano un alimento comune a quello degli ospiti. Una cuoca del tempo commentò: «Trovo molto, ma molto più difficile fare da mangiare per le sette suore che per i cinquanta ospiti». Per tutti i tre casi menzionati (scuola, ospedale e ricovero), i tempi erano quelli, c’è poco da fare. Speriamo solo non tornino.