Ne parlavamo recentemente durante un appuntamento conviviale, o al Centro. Quando andiamo al ristorante, sul conto finale troviamo la voce “coperto” con importo variabile da struttura a struttura. Una nostra paesana ha commentato: “Ma come, dobbiamo pagare una tassa perché siamo venuti qui?”. Una rapida ricerca ha risolto l’origine di questa consuetudine, che ha addirittura una sua storia. Risale alle taverne medievali quando, in cambio di una piccola quota, i viandanti a zonzo per il Friuli, potevano consumare il loro pasto al sacco su tavoli apparecchiati. Era un contributo che versavano all’oste per trovare riparo dalla pioggia e dal freddo, dunque al “coperto”, nome che è rimasto e comprende l’uso degli accessori della tavola apparecchiata, il costo del pane e la pulizia del posto occupato al fine di accogliere il cliente successivo. Il “coperto” non va confuso con il “servizio” o con la mancia lasciata al cameriere in forma discreta, dell’importo compreso generalmente tra il 10-15%, rituale diffuso in molti altri Paesi. Anche la mancia affonda la propria origine nel passato, quando il personale della locanda lavorava senza un contratto di lavoro e senza stipendio ed era pagato a percentuale sulle ordinazioni dei clienti che serviva. Entrambe le usanze sono sopravvissute fino ai giorni nostri con un’unica differenza: la mancia è un gesto spontaneo che premia la cortesia e gentilezza del cameriere, mentre il coperto è un’autentica voce di spesa, quindi inserita nel conto e rientrante della fiscalità dello stesso. Pagando il coperto, generalmente non si lascia anche la mancia (tranne gli eventuali spiccioli di arrotondamento della ricevuta), non c’è l’abitudine e all’estero i locandieri ci conoscono. Con il pagamento effettuato con carte, mentre il coperto è contributo garantito, la mancia non lo è: appare inconsueto lasciare solo un mucchietto di spiccioli così come si fa con la musnìza.