Flagellò il Friuli dal 1357 al 1362, cinque anni di pandemia che causarono la decimazione della popolazione. La gente, terrorizzata dai suoi effetti che non lasciavano scampo, non sapeva come reagire, come affrontare questo fenomeno attribuito a cause fantasiose con untori, streghe, superstizioni. Per difendersi dal rapido contagio, gruppi numerosi di persone sopravvissute e sane si trasferirono nelle Valli in quei tempi pressoché disabitate, ricoperte di boscaglia, prive di vie di comunicazione. L’isolamento fu scelto come protezione sanitaria ed ebbe successo in quanto, stando ai dati disponibili, la peste si fermò a Cividale. I nuovi valligiani scelsero i posti migliori in cui insediarsi, creando nuovi borghi oppure ampliando considerevolmente quelli esistenti. Nacquero paesi dalla posizione invidiabile, ben esposti al sole, con dolci declivi: Mersino, Rodda, Lasiz, Masseris, Clastra, Stregna, Drenchia e anche il fondovalle, per ultimo, risentì positivamente di quest’espansione antropica. Per garantire la sicurezza sanitaria di tutto il nostro territorio, era necessario evitare ogni contatto con la pianura e nel caso di inderogabile necessità fu applicato il provvedimento della quarantena. Il monastero di Ponteacco (citato per la prima volta nel 1276) era una garanzia grazie anche alle regole di clausura vigenti nella struttura. I monaci si occupavano della gestione di una piccola economia di tipo circolare: orto, coltivazione di campi, allevamento. Questa rivoluzione demografica dovuta non solo alla peste, ma anche come strumento di protezione dalle invasioni, da rovinosi terremoti, fornì le basi per la costruzione di decine di chiesette votive, quali ringraziamento al Signore per gli scampati pericoli. Martedì prossimo ci occuperemo di altri aspetti legati al flagello della Peste nera …